Site icon Etica-mente

Noi ci baciamo e noi ci picchiamo

Tooker

Una delle premesse dell’eticità è la reciprocità: non vi può essere alcuna istanza morale senza il riconoscimento dell’alterità e della relazione di mutualità. Ciò non vincola alla necessità di gradire indistintamente ogni forma di umanità: l’individuo etico mantiene le proprie preferenze, apprezza, condivide, o disprezza e non gradisce. Ma mai l’essere umano può essere ignorato nella sua unicità, che lo pone dinnanzi ad un altro essere umano in quanto diverso. Stare da soli al mondo è un ossimoro: non è possibile contravvenire allo sfondo ontologico che riguarda ogni essere umano in quanto tale, cioè il fatto di stare al mondo insieme ad altri esseri umani.

H. Bosch, The Garden of Earthly Delights, 1490-1510, Museo del Prado, Madrid

Già Buber spiegava che «l’istinto della creatività, abbandonato a se stesso, non conduce, non può condurre a due formazioni indispensabili per la costruzione di una vera vita umana: a partecipare a una causa e ad accedere alla reciprocità» (Buber, 1926, p. 166). La reciprocità (Gegenseitigkeit) di cui parla Buber è la chiave per intendere la pedagogia dialogica che deve caratterizzare l’umanità in quanto tale. Ma già ontologicamente, «l’uomo diventa io a contatto con il tu» (Buber, 1923, p. 79), perché «Beziehung ist Gegenseitigkeit» (Buber, 1923, p. 63), “relazione è reciprocità”. Un argomento vivo nell’argomentazione orteghiana, capace di rovesciare la fenomenologia di Husserl: prima dell’io c’è il tu, perché l’altro che mi appare dinnanzi non è semplicemente un altro, ma è alter ego, è un altro come me, un altro io (Ortega y Gasset, 1967, p. 97). Dunque, “relazione è reciprocità” o, per dirla con Heidegger, Mitsein: «Il mondo è già sempre quello che io con-divido con gli altri. Il mondo dell’Esserci è con-mondo. L’in-essere è un con-essere con gli altri. L’esser-in-sé intramondano degli altri è un con-Esserci» (Heidegger, 1927, p. 154).

R. Magritte, Les amants, 1928, MOMA, New York

Gran parte della fenomenologia e molto esistenzialismo hanno girato intorno a questa grande questione: chi sono io? E la filosofia contemporanea, anche se per vari giri, ha sempre risposto in modi simili a questo: io sono io e il mio mondo. La contemporaneità, spesso bistrattata come tempio del lassismo, del qualunquismo, del nichilismo, accusata di essere l’età della crisi dei valori – e io non ho mai ben capito di quali valori e di quali crisi si parlasse – ha invece suggellato questa estrema conquista, che ci permette di guardare al futuro con rinnovata euforia, ma con attenta e sensibile consapevolezza: la soggettività è oggettività. La radice ineliminabile dell’essere umano è una radicale soggettività; ma questa soggettività non è, come nel fulgido razionalismo, nello scientifico positivismo o in fantasiose metafisiche, acquisita certezza di dominio del sé sul mondo. Al contrario, ogni consapevole indagine sul sé si rivela un’apertura verso un orizzonte indefinito di opportunità, tra le quali il fallimento, la nausea, il disagio. L’uomo contemporaneo scopre che la propria soggettività non è che un rimando ad altre soggettività: gli infiniti mondi di Giordano Bruno non sono che l’anticipazione degli infiniti soggetti con cui posso trovarmi a stretto contatto o in flebili relazioni. Se «ho accettato la vita, ho accolto con la mia esistenza la necessità del mio coesistere. Non si tratta di deliberare di entrare nella cosiddetta vita di relazione. Tutta la vita è vita di relazione» (Piovani, 1972, p. 87).Prima di ogni etica sociale, che riconosca la vita come vita di relazione, si pone un assunto ontologico, che rivela la necessità della co-esistenzialità: coesistere non è atto deliberato, o effetto di una ratifica istituzionale, o il risultato di un calcolo di convenienza. Coesistere è un dato ineludibile, poiché nessun essere umano può esistere fuori dal piano ontologico della coesistenza; ogni soggetto è un rimando ad altri soggetti non solo in quanto, come ogni essere umano, è il risultato di una generazione prodotta da altri esseri umani, un uomo e una donna, i genitori; ma soprattutto in quanto la vita è attività che richiede, produce, causa, subisce continui incontri e scontri con gli altri: dall’individuo conosciuto in ospedale e divenuto amico alla persona che mi ha investito con l’automobile.

J. Miró, Mangeur de soleil, 1955, National Gallery of Victoria, Melbourne

Dunque, va da sé che ogni prospettiva ingenuamente votata ad una spontanea filantropia sia resa complicata dal fatto che la coesistenza non significa pace e amore: al di là del fatto che per lo stesso Ortega y Gasset, l’altro appare come potenziale pericolo, si dà il fatto che siamo spesso costretti a convivere con vicini poco cortesi, con colleghi poco disponibili, con persone che gradiremmo non avere nei nostri paraggi, con nemici e demoni che spesso albergano in noi stessi ancor prima che lì fuori. Come ancora per lo Spagnolo, del resto, non solo la relazione sociale è ineliminabile sul piano ontologico – in quanto siamo «a nativitate aperti all’altro» (1967, p. 130) – ma diventa chiave di lettura etica della convivenza sociale, perché è l’origine della trascendenza delle singole individualità, il passaggio dall’io e dal tu di Buber a qualcos’altro, il noi: «La relazione “noi” è la forma primaria di relazione o socialità. Non importa il suo contenuto: il bacio, la bastonata. Noi ci baciamo e noi ci picchiamo. L’importante qui è il noi ci. Già in tale rapporto non vivo, ma convivo. […] Io mi trovo circondato da altri uomini. Con molti di loro sto in relazione sociale, vivo quella reciprocità che abbiamo chiamato la realtà del “Noi”» (Ortega y Gasset, 1967, pp. 130-131).

M. Ernst, Le baiser, 1928, Guggenheim, Venezia

Rovesciando il messaggio evangelico, devo amare me stesso come amo l’altro. L’importante qui è capire molto semplicemente che per conoscersi è necessario prima conoscerci.

Riferimenti:
Buber M. (1923). Ich und Du, Insel, Leipzig
Buber M. (1926). Rede über das Erzieherische, Lambert Schneider, Berlin Heidegger M. (1927). Sein und Zeit, Niemeyer, Tübingen
Ortega y Gasset J. (1967). El hombre y la gente, Revista de Occidente, Madrid Piovani P. (1972). Principi di una filosofia della morale, Morano, Napoli

Condividi:
Exit mobile version