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La follia di esistere

Che il voler misurare l’esistenza sia una follia, o che debba esserlo il fatto di esistere? Quanto misura l’esistenza? E che peso ha? Forse è così leggera da non poter essere pesata? O pesante oltre ogni misura? Quanto può essere volatile, eterea, sfuggente? O pressante, soffocante, insostenibile? Scriveva Piovani (1972) che il calcolo della vita è un calcolo che si sottrae a ogni economia. E, del resto, sarà mai possibile misurare quanto si debba soffrire? Oppure pesare quanto si possa amare? Misurare quante lacrime versare? Per quanti minuti dovrò ridere? Per quanto ancora dovrò piangere? Per quanto tempo dovrò attendere l’amore, o faticare per inseguirlo?

Cummings si domandava nella sua poesia — non a caso intitolata Stando all’infinito:

(Gli amanti soffrono? Ogni divinità
che superba discende s’incarna nel mortale:
gli amanti son felici? Loro minima gioia è
un universo nato da un desiderio)
gli amanti amano? Al cielo allora l’inferno.

Brassaï, Couple d’amoureux dans un petit café, quartier Italie (1932)

Ogni minima gioia è un universo, vale l’universo, vale tutto il cielo, e anche l’inferno che si porta dietro. Quale calcolo potrebbe mai condurci sull’orlo della disperazione, ammantandocela di desiderio, passione, gioia e felicità? Soltanto il calcolo di un folle potrebbe: “Ditemi, per Giove, quale momento della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un pizzico di follia?” (Erasmo 2014, §12). Esistenza è Follia, spiegava Erasmo, che intitolava “la vita è un dono della Follia”. Non quella negativa, delle Furie vendicative, ma quella positiva, che stimola i sensi e le passioni e che ci inebria di piacere, quando ci dedichiamo ad inseguire un amore o un successo.

Ma l’esistenza è solo un palcoscenico sul quale ognuno indossa una maschera. Un circo, uno spettacolo, di quelli da guardare stando seduti: “Insomma, se, come una volta Menippo dalla Luna, potessimo contemplare dall’alto gli uomini nel loro agitarsi senza fine, crederemmo di vedere uno sciame di mosche e di zanzare che disputano, combattono, insidiano, scherzano, giocano, nascono, cadono e muoiono. Si stenta a credere che razza di scompigli e di tragedie può provocare un animaletto così piccino e destinato a vita così breve. Infatti, di tanto in tanto, un’ondata anche non grave di guerra o di pestilenza ne colpisce e ne distrugge migliaia e migliaia” (Erasmo 2014, § 48). Come quando Battiato cantava “Ho sentito degli spari in una via del centro / Quante stupide galline che si azzuffano per niente” (Bandiera bianca 1981).

Piovani precisava che le storie umane sono profondamente inutilitarie, cioè non soltanto non si reggono sul rapporto costo/benefici, ma spesso lo infrangono. Quanti litigi, quante parole serviranno per giungere a una comprensione? Da quanti dissapori, da quante delusioni dovremo ogni volta passare? E quanti inutili chiarimenti non chiariranno mai? Nella strada della vita, nessuna via più breve esiste: deviazioni, imprevisti, percorsi tortuosi, irte salite e ripide discese, noiosi e tranquilli rettilinei, improvvise interruzioni, inaspettate e sorprendenti nuove vie. Mai la linea più breve tra due punti è una linea retta nel mondo degli esseri umani.

Quante imprese umane avrebbero visto davvero la luce se non fossero state generate dal continuo tentativo di un superamento, dall’inarrestabile, irrefrenabile desiderio dell’oltre e dell’altro. Nelle sue realizzazioni più grandiose, come in quelle più misere, la vita è un inno alla Follia, un tributo farneticante a questa divinità, alla quale siamo pronti a sacrificare quanto ci è di più caro, senza risparmi, senza calcoli. L’essere umano, come Sisifo, riavvolge la vita continuamente intorno al filo dell’ebbrezza, della stoltezza – che in Erasmo è solo una tappa verso la Follia.

Che sia la Follia a dare un senso, ad illuderci di averne trovato uno alla fine della giornata, tale da meritarsi le nostre lotte, le nostre fatiche, i nostri dolori? Strega malefica o sublime incantatrice? Sembra davvero che senza la follia l’umanità perda la possibilità del senso dell’esistenza, rimanendo nuda dinnanzi al vuoto vivere, brancolando nel buio indistinto del freddo solo ragionare. Dove sono la poesia, l’arte, la magia? Dove il miracolo, l’incredibile, dove la capacità di meravigliarsi, di sorprendersi che tanto invocavano Aristotele ed Ortega y Gasset? In suo scatto fotografico, Boubat immortalava Plutôt la VIE!, invitando a scegliere la vita, come Mark Renton avrebbe poi ripetuto al cinema.

E. Munch, L’urlo (1910)

L’Elogio della Follia, in fin dei conti, è un elogio dell’imperfezione; perciò è un elogio della vita. Sia fatta salva l’imperfezione, dunque! Il Sidereus Nuncius di Galilei del 1610 — tra le tante novità — rivelava che la linea di demarcazione tra luce ed ombra sulla Luna non era perfettamente lineare e dritta, ma irregolare, curva, insomma imperfetta. Ciò perché la Luna — rivelava Galilei — non è una sfera perfetta come si era creduto per secoli. Questa grande novità segna un’altra linea — questa un po’ più netta — di demarcazione tra antichità e modernità.

Esistono due mondi: quello della perfezione e quello dell’imperfezione. Un mondo prima e un mondo dopo. Il mondo antico si regge su idee pure e mondi iperuranici o su un’idea di divenire prestabilito secondo natura. I cieli sono perfettamente ordinati, l’Essere è perfezione, il bene è conoscenza perfetta e piena, perfino l’amore, quello vero, è ordine. Molte persone vivono (o credono di vivere) in un mondo perfetto, regolato da routines e rituali. La contemporaneità inizia quando ci accorgiamo che non è così. L’onda lunga dell’incertezza, del probabile, del caduco, del cangiante, perfino dell’illusorio si fa strada spazzando via tutti quegli argini ideologici che per secoli erano stati eretti a usberghi della perfezione. 

Il mondo antico è il mondo che non ammette errori, che espone i neonati malformati (o di sesso femminile), condannandoli a morte. Il mondo moderno riconosce che l’errore non è un male o la perdita di uno stato di grazia. Scopriamo che senza l’errore non progrediamo e che, dunque, progredire non è non sbagliare mai, ma provare e sbagliare, perfino provare a sbagliare. Benediciamo errori e imperfezioni.

L’essere umano si scopre homo faber nel pieno spirito di quella forza, virtus, che Deleuze e Lévy avrebbero utilizzato per spiegare il concetto tutto contemporaneo di virtuale: la virtualità dell’essere umano è il riconoscimento di una potenza, di un’evoluzione creatrice, perché è in Bergson (2014) che troviamo i semi del dialogo tra possibile e virtuale. L’essere umano è se stesso finché si rinnova in un atto creativo, poietico e poetico, di trasformazione, trasfigurazione del mondo e di se stesso. L’innovazione è, dunque, anche immaginazione, fantasia, intuizione, creatività, genialità. Follia.

Q. Massys, Allégorie de la folie (~ 1510)

Sì, la vera perfezione è imperfezione. Perfetto significa compiuto, cioè completo. E la completezza include perfezione e imperfezioni. Galileo scopre che la Luna non è la sfera perfetta descritta da Aristotele. E dal Pisano ereditiamo un’idea che passerà dai corpi celesti ai corpi umani: anche la nostra esistenza è imperfetta, un misto indefinito di chiaro-scuro, di luci ed ombre non perfettamente separate, di contingenza, di imprevisti, di volti picassiani, di metamorfosi kafkiane, perfino di nausee sartriane, dalle quali proviamo a sfuggire aggrappandoci alla memoria di una petite madeleine, di un errore di gioventù, o di un amore perduto. Molte persone vivono mondi imperfetti, apparentemente o incredibilmente disordinati, che invero hanno un senso profondissimo. Perché di ordinato e perfetto, per fortuna, c’è poco. Ce lo ricorda anche la Luna.

Anche nella relazione amorosa, la perfezione, il controllo, la ragione diventano paraventi grazie ai quali la Follia esibisce il proprio abito credibile, ragionevole. Quasi anticipando alcune istanze darwiniane, Schopenhauer precisava che l’amore è un’illusione perché nasconde ciò che davvero è: un atto di trascendenza di due individui verso una nuova creatura, il loro figlio. «In definitiva, ciò che dunque con tanta esclusività e con tanta forza attira l’un verso l’altro due individui di sesso diverso è la volontà di vivere di tutta la specie, che qui, nell’individuo che quei due possono generare, anticipa un’oggettivazione del suo essere corrispondente ai suoi fini. […] Dunque qui, come in ogni istinto, la verità assume la forma dell’illusione per agire sulla volontà. È una illusione di voluttà quella che inganna l’uomo, facendogli credere che troverà fra le braccia di una donna di bellezza a lui confacente un piacere più grande che non fra quelle di qualsiasi altra; ed è la stessa illusione che, diretta esclusivamente a un’unica donna, lo persuade fermamente che il possederla gli procurerà una straordinaria felicità. Perciò egli s’illude» (Schopenhauer 2011, 76). Un po’ come avrebbe scritto Ortega y Gasset, spiegando che l’amore è il tentativo di rompere due solitudini (2014).

Allora la vita non può essere altro che due cose, o l’una o l’altra; o sintonizzarsi con l’ordine, vivere per i periodi di quiete, tentando di assorbire ed elaborare i cambiamenti; o sintonizzarsi col cambiamento, con l’incerto, con il contingente, evitando di rischiare di restare appiattiti, forse perfino schiacciati, dalla mancanza di novità, aprendosi alla forza del virtuale, allo spirito creativo, senza la necessità di una coperta di Linus nella quale rifugiarsi, cogliendo l’invito di Nietzsche a non cercare facili scappatoie e accomodanti certezze: la vita è lotta, darwinianamente ed eticamente; è agone.

S. Dalí, Sueño causado por el vuelo de una abeja alrededor de una granada un segundo antes del despertar (1944)

No, “non si deve restare attaccati a una persona, fosse pure la più amata: ogni persona è una prigione e pure nascondiglio. Non si deve restare attaccati a una patria, fosse pure la più sofferente e bisognosa d’aiuto. Non si deve restare attaccati a una compassione, anche se rivolta a esseri superiori, nel cui singolare martirio e impotenza il caso ci ha fatto gettare un’occhiata. Non si deve restare attaccati a una scienza, anche se allettasse qualcuno con le scoperte più preziose e apparentemente riservate a noi. […] Bisogna essere capaci di preservarsi: è la prova più forte di indipendenza” (Nietzsche 2011, §41). In Al di là del bene e del male, dedicato agli “Spiriti liberi”, Nietzsche insiste sulla necessità di mettere alla prova se stessi, di evitare comodi rifugi, di crogiolarsi in presunte certezze, di affannarsi alla ricerca di ipotetiche verità. L’autentica filosofia deve fare i conti con l’apparenza, con l’inganno, con l’illusione, dunque con la follia, perché è lì che vi è la possibilità di creare qualcosa, perché è lì che si crea ogni esistenza.

Allora, fuori da ogni misura, da ogni proporzione, da ogni calcolo razionale, l’esistenza è già in sé, etimologicamente, rimando ad altro e ad oltre da sé, al non potersi bastare, al volere e desiderare di più. È questa, dopotutto, l’unica misura che resta: la misura del dolore che siamo disposti a provare per un po’ di felicità, come anche ricordava Emily Dickinson:

Per un istante d’estasi 
Noi paghiamo in angoscia 
Una misura esatta e trepidante, 
Proporzionata all’estasi. 
Per un’ora diletta 
Compensi amari d’anni, 
Centesimi strappati con dolore, 
Scrigni pieni di lacrime

Sì, per un istante d’estasi c’è un grande prezzo da pagare. Sì, questo deve essere il nostro destino: che un attimo di vita deve certamente valere più di tutta un’eternità di non vita. Questo il nostro essere: che siamo disposti a pagare con tutta l’infelicità per avere un istante di felicità. Dunque, sì, vi è una misura dell’esistenza: una misura folle, una smisurata follia.

Amici miei, di M. Monicelli (1975)

Riferimenti bibliografici

  • Bergson, Henri. 2014. Materia e memoria (1896). Bari: Laterza
  • Cummings, Edward E. 1962. “Being to timelessness as it’s to time”. In Complete Poems. New York: Liveright
  • Deleuze, Jacques. 2001. Il bergsonismo e altri saggi (1966). Torino: Einaudi
  • Dickinson, Emily. 2020. “For Each Ecstatic Instant”. In The Collected Poems of Emily Dickinson. Minneapolis: First Avenue Editions
  • Erasmo Da Rotterdam. 2014. Elogio della follia (1511). Milano: Feltrinelli
  • Galilei, Galileo. 1948. Sidereus nuncius (1610). Firenze: Sansoni
  • Lévy, Pierre. 1997. Il virtuale (1995). Milano: Raffaello Cortina
  • Nietzsche, Friedrich. 2011. Al di là del bene e del male (1886). Milano: BUR
  • Ortega y Gasset, José. 2016. L’uomo e la gente (1954). Milano: Mimesis
  • Piovani, Pietro. 1972. Principi di una filosofia della morale. Napoli: Morano
  • Schopenhauer, Arthur. 2011. Metafisica dell’amore sessuale (1844). Milano: BUR
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