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Da Pan agli hikikomori: declinazioni dell’Internet Addiction

“Lo sviluppo tecnologico — insieme a quello del mondo di internet — e i cambiamenti sociali, soprattutto per gli/le adolescenti, hanno modificato non solo le abitudini, ma anche il modo di esprimersi e comunicare. Nel periodo che va dalla pubertà alla prima età adulta, le nuove tecnologie hanno un notevole impatto sullo sviluppo psicosociale, in termini affettivi e relazionali.” (Caravita et al., 2018)

Il mondo degli hikikomori

Nato negli anni Ottanta in Giappone, l’hikikomori è un termine coniato nel 1998 dal Dottor Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital, letteralmente significa “rannicchiarsi, raggomitolarsi su se stessi”. È un fenomeno comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani post-adolescenti la cui caratteristica peculiare è l’autoisolamento, il rifiuto della vita sociale. L’unico mezzo di comunicazione per gli hikikomori  è internet, con cui si crea un vero e proprio mondo a parte. L’always-on regna nella loro vita, unica via per continuare a “comunicare”, a vivere.

Tale problematica scaturisce dal sistema socio-scolastico giapponese che è incentrato sull’importanza della scuola. Ciò porta gli studenti a voler frequentare scuole prestigiose, con lo stress e le pressioni sociali che ne conseguono. Solo così si riuscirà a vivere in maniera decorosa e onorevole. Rintanarsi in se stessi sembra la via più facile per accedervi. Il fenomeno degli hikikomori non é tuttavia esclusivamente peculiare della società giapponese. Negli ultimi anni studi scientifici extra-asiatici hanno gettato l’ipotesi che questo “disturbo” potrebbe essere considerato una problematica globale e transnazionale. In particolare sono stati individuati numerosi hikikomori negli Stati Uniti, Oman, Australia, Bangladesh, Iran, Corea, Cina, Spagna e Italia.

Noraroby, Solitudine (2010)

L’hikikomori  è solo una delle numerose conseguenze della internet addiction (per saperne di più si veda qui). “Nel 2015 è stato pubblicato, sulla rivista Computers in Human Behavior dallo psicologo Roberto Truzoli dell’Università di Milano in collaborazione con i britannici della Swansea University e dell’Abertawe, uno studio che dimostra che l’internet addiction può modificare la personalità, facendo dominare l’impulsività che  rende meno capaci di pianificare. Questo rischia di avere un impatto negativo per lo studio scolastico e per il proprio lavoro, aumentando perfino la probabilità di cadere vittime del gioco d’azzardo. I risultati dimostrano che, subito dopo la navigazione in rete, i partecipanti più esposti a internet fanno molte più scelte impulsive, con una riduzione delle scelte che implicano autocontrollo.” (Cianferoni, 2019)

“«Sono i primi dati che evidenziano sperimentalmente i cambiamenti del comportamento di scelta come risultato dell’esposizione a Internet», afferma Philip Reed della Swansea University. Lo psicologo Roberto Truzoli aggiunge che le ricerche precedenti hanno evidenziato come le persone con dipendenza da internet dopo l’esposizione al web diventino più depresse: «sarà quindi interessante approfondire la relazione tra internet-addiction, depressione e impulsività, in modo da produrre un quadro globale». L’impulsività è un fenomeno che si associa spesso a quello dell’ansia, per esempio nella difficoltà a mantenere relazioni sentimentali o impieghi lavorativi.” (Cianferoni, 2019)

Un ruolo emblematico in tutto ciò, quindi, lo gioca sicuramente il senso di solitudine, che sta alla base delle dipendenze e delle pressioni sociali (come nel caso degli hikikomori), e le diverse forme di ansia che possono sfociare in attacchi di panico.

Noraroby, Solitudine 3 (2010)

Pan e il suo terribile urlo

Il termine “panico” deriva dal nome del semi-dio Pan (Πάν), dal greco paein, cioè “pascolare” (è però simile a πᾶν, che significa “tutto”). Era infatti una divinità dei boschi e della natura dall’aspetto spaventoso e inquietante perché mezzo uomo e mezzo animale. Dal suo nome deriva il sostantivo panico, originariamente timor panico o terror panico, poiché egli si adirava con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti, provocando così una incontrollata paura. A Pan si attribuiscono infatti i rumori di origine inesplicabile che si udivano nella notte. Si narra che i suoi terribili ululati  fossero talmente spaventosi da causare di frequente la fuga di Pan stesso, sconvolto dal suo stesso urlare. All’origine degli attacchi di panico vi è dunque l’irrequietezza di questa figura mitologica. 

Arriva all’improvviso, invade mente e corpo. Accelera il battito, accorcia il respiro. Odora di Morte, aspra e pungente, la quale non si mostra mai. La bocca asciutta cerca una goccia di acqua, che la gola respinge. Così stretta e annodata, le corde vocali tentano di emettere qualche suono, ma non un solo sibilo esce. I muscoli si irrigidiscono e i sensi percepiscono ogni suono. Gira la testa, ma intorno tutto rimane immobile. Divampa il fuoco dal petto allo stomaco. Tutto si è arrestato. Pan si è mostrato, ha emesso il suo urlo.

Il semi-dio rappresenta l’istinto in tutte le sue forme. La sensazione di panico che si prova durante un attacco riguarda proprio la paura di queste forze naturali che abbiamo dentro e che vogliamo tenere sotto controllo.  Ma è proprio lo sforzo di controllare le proprie emozioni che causa ansia, la quale sfocia in panico. È come un vulcano che trattiene il fuoco dentro di sè e quando esplode distrugge tutto. Questa figura mitologica ci apre gli occhi, dà luce ad una parte della nostra vita che troppo spesso accantoniamo o confondiamo nel marasma quotidiano. La potenza e l’impetuosità di questa energia primordiale è talmente tanto travolgente da risultare incontrollabile per definizione, proprio come Pan cade in preda al terrore all’udire le urla da lui stesso riprodotte.

Internet addiction e società


“Sostanzialmente il malessere psicologico viene considerato una questione privata, che ha a che fare con la propria storia personale. Quante persone ritengono infatti che i loro disturbi depressivi e d’ansia abbiamo a che fare con ragioni collettive? È necessario sviluppare una nuova consapevolezza: le diverse dipendenze da internet appaiono oggi come fattori significativi o decisivi dei malesseri psichici, determinando un peggioramento di vulnerabilità già presenti, relative tanto a fattori personali quanto a quelli sociali, per esempio a causa della crisi economica” (Yanez magazine, 2019).

Hikikomori, internet-addiction, attacchi di panico, senso di solitudine (su questo si veda questo post), depressione. Sono solo alcuni dei disagi che stanno venendo alla luce nelle nostre società ancora troppo pregiudicanti nei confronti dei disturbi psichici. Fatti individuali, ma prima di tutto sociali. E come può intervenire la società in questioni tanto delicate? È qui che deve farsi avanti l’azione etica. Sicuramente i disturbi psichici vanno risolti con i dovuti supporti psicoterapeutici, ma nel disagio sociale che dilaga ha un suo ruolo sicuramente il mondo digitale. L’uso corretto e moderato delle nuove tecnologie è uno dei primi passi che l’etica ci aiuta a compiere. 

Eppure il mondo di internet ha permesso e permette agli hikikomori di trovare un rifugio nel mondo, o meglio, dal mondo. Hikikomori che sono effetto, conseguenza di una società opprimente che pretende da loro efficenza, velocità, risultati. È la regola del “basta che funzioni”, come ci si aspetta da un computer o da una macchina. Ma a che prezzo? A che prezzo rinunciare alla vita reale per una vita esclusivamente virtuale? C’è in gioco prima di tutto l’autenticità della comunicazione e della vita. Comunicazione che diventa claudicante, che perde il suo valore etico e si fa trasmissione di informazioni, di bit di 0 e 1. Le relazioni umane si svuotano. L’altro è distante da me e io sono troppo distante da me stesso.

Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia (1818)

L’essenziale

Il mondo di internet è vasto e sconfinato. Di contro, le nostre vite sono limitate. Nella filosofia ellenica, il termine greco πέρας (limite) era ciò che è completo perché condotto a termine, ciò che ha forma, ordine, armonia e bellezza. Diversamente il mondo virtuale di internet potremmo concepirlo come ciò che non trova limite nelle sue possibilità, potremmo scambiarlo erroneamente per l’infinito, appunto. L’essere umano è finito in quanto trova ostacoli e non è capace di adeguarsi all’infinito. Il verbo “adeguare” dal latino adaequare significa “eguagliare”, “rendere eguale”. Noi non possiamo metterci sullo stesso piano del mondo digitale, ciò è ontologicamente impossibile. Qualora diventasse possibile, plausibile non sarebbe. Potrebbe rappresentare un problema, un campanello di allarme di una possibile internet-addiction scaturita da più profonde radici interiori e collettive.

L’uomo non deve adeguarsi e farsi imprigionare dalle infinte reti della rete per sfuggire a se stesso, alla propria natura. Nell’era dell’autismo digitale, avere consapevolezza del mondo di internet, delle sue enormi potenzialità, ma anche dei suoi limiti e dei suoi rischi è fondamentale. Il pericolo principale è quello di perdersi e di non trovarsi più, il rischio di eguagliarsi a bit di 0 e 1. Dove il mondo virtuale ci porterà, non lo sappiamo, ma l’essenziale è ricordarci sempre di ritornare al nostro mondo reale. 

“Non si vede bene che col cuore: l’essenziale è invisibile agli occhi” scrive Antoine de Saint-Exupèry ne Il Piccolo Principe. Se le cose più importanti per le nostre vite, per noi stessi, non si vedono con gli occhi, forse dovremmo chiuderli e, semplicemente, sognare.

“Vivere” è assai diverso da “lasciarsi vivere” o da “vedersi vivere”. Questa però, è un’altra storia.

Riferimenti bibliografici:

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