Site icon Etica-mente

Amore e cosmo in Scheler

A lezione abbiamo affrontato il tema dell’amore secondo Scheler. Prima di pubblicare la sua opera più nota, La posizione dell’uomo nel cosmo, nello stesso anno della sua morte (1928) – e curiosamente nello stesso anno di un’altra opera fondamentale, quella di Plessner, I gradi dell’organico – Max Scheler aveva vissuto molti combattimenti sentimentali, religiosi e filosofici. Dopo l’incontro con Husserl del 1913, Scheler inizia una profonda riflessione etica che scaturisce dalla sua impossibilità di accettare il formalismo kantiano: ne deriverà nel 1916 la sua opera principale di filosofia morale, Il formalismo nell’etica e l’etica dei valori materiali.


Per Scheler, ancor prima dell’amore, i valori, da quelli sensoriali – piacere/dolore – a quelli filosofici – vero/falso – a quelli estetici – bello/brutto – fino a quelli spirituali – sacro/profano – non sono mai conoscibili con l’intelletto: ma solo intuibili. È la grande critica al cogito cartesiano, alla riduzione dell’esse al mero pensiero razionale: no, per Scheler l’essere umano è più della sola razionalità. È intuizione, è spirito (Geist), è impeto (Drang), è insomma combattimento, lo stesso che lui aveva vissuto per tutta la vita. L’antropologia filosofica apre la filosofia ai dati della scienza e scopre un essere umano nudo, disorientato, indeciso, a volte spavaldo, ma sempre fragile: è la grande stagione delle filosofie dell’esistenza, lì dove la vita vissuta si prende beffe di ogni formalismo, di ogni imperativismo e di ogni precettistica vagamente metafisicheggiante.


Nel 1923 Scheler affonda il colpo con Essenza e forme della simpatia: concetto centrale dell’etica materiale, la simpatia è il collante di ogni possibile co-esistenza, che diventa speciale, incondizionata, sublime, quando, evoluzione dell’unipatia, diviene infine amore. L’opera del 1914-16, Ordo amoris, aveva già segnato la via: l’amore è cambiamento. La moglie di Scheler, alla morte del marito, aveva provato a far pubblicare alcuni scritti inediti di Max, presentandoli al già affermato Heidegger nel 1929: ma Heidegger rifiutò ogni aiuto; si trattava pur sempre di un ebreo – certo, convertitosi già a 15 anni al cattolicesimo, ma Scheler restava figlio di madre ebrea. Maria Scheler riuscì a far pubblicare a proprie spese Ordo amoris nel 1933, nonostante il regime nazista avesse vietato la diffusione delle opere di Scheler fino alla rovinosa caduta.

«L’amore moralmente valido è quello che amando non fissa lo sguardo sulla persona perché essa ha queste o quelle proprietà ed esplica queste o quelle attività, perché ha questa o quella “dote”, perché è “bella”, ha delle virtù, ma è quell’amore che coimplica nel suo oggetto quelle proprietà, attività, doti, per il fatto che esse appartengono a questa persona individuale. Soltanto questo, pertanto, è amore assoluto».

M. Scheler, Essenza e forme della simpatia


Era l’apertura di un mondo nuovo, si schiudevano esistenze e vissuti, si intrecciavano sentimenti e si incendiavano amori, tra desideri e assoluti, come nella prospettiva di Ortega y Gasset: perché non si ama quella qualità, ma si ama quella qualità in quanto è in quella persona. Non amiamo il sorriso, gli occhi azzurri o verdi, ma quel modo di sorridere di quella persona, il colore degli occhi in quella persona; non un sorridere, ma quel particolare modo di sorridere in quanto è quella particolare persona a sorridere in quel modo particolare; non un gesticolare, ma il suo gesticolare, il suo sorriderci e il suo guardarci da una specifica posizione nel cosmo.


Io grido a te pietà, pietà, amore – | sí, amore! Amore misericordioso, non supplizio di Tantalo, ma univoco | pensiero, ed immutabile e innocente, | a viso aperto e chiaro e senza macchia! | Lascia ch’io t’abbia tutta, tutta mia! | Quella forma leggiadra, quella dolce | droga d’amore minima, il tuo bacio – | mani ed occhi divini, il caldo e bianco | lucente seno dalle mille gioie; | te stessa, la tua anima, ti supplico | per pietà, dammi tutto, non escluso | un atomo di un atomo, o morrò…

J. Keats, Sonetto XVI


Condividi:
Exit mobile version