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Senso e scopo in Soul di Disney Pixar

Soul - Disney Pixar

Soul – quando un’anima si perde è il nuovo film della Disney Pixar realizzato da Pete Docter che tratta di senso e scopo dell’esistenza. Il  terzo film della trilogia, di cui i primi due sono Inside Out Coco, ha riscontrato molto successo sin dai primi giorni di distribuzione sulla piattaforma streaming Disney Plus. Soul, a differenza degli altri due piccoli capolavori della Disney, è un film che parla più agli adulti che ai bambini: riesce a far cogliere il senso più profondo dell’esistenza, senza avere la presunzione di dare risposte preconfezionate ai grandi interrogativi sulla vita. Ci dona semplicemente un’intuizione sul significato di stare al mondo nella condizione di Esserci. Intuizione che spesso noi cerchiamo per tutta la vita e che sta, in fondo, sotto al nostro naso.

In Soul, Disney Pixar offre, quindi, forti e dirompenti riferimenti al pensiero filosofico che va da Platone fino ai giorni nostri. Ad esempio, l’Ante Mondo del film, ove risiedono le anime non nate e incorporee che si preparano al mondo terreno, è una palese riproposizione del mito di Er e del Mondo delle Idee di Platone, ove le anime contemplano le idee perfette anche se dimenticheranno tale contemplazione venendo al mondo. Al centro del racconto disneyano sta però il concetto esistenzialistico di scintilla. Un’anima infatti è pronta ad “esser-gettata”, nel mondo, solo quando ha trovato la sua scintilla. In quasi tutta la durata del film d’animazione però, si confonde il concetto di senso con quello di scopo che ognuno di noi ha nella vita. 

Ventidue: La verità è che ho sempre pensato che qualcosa non andasse in me, cioè, di non essere all’altezza per vivere. Poi mi hai mostrato che vuol dire avere uno scopo, passione e magari la mia scintilla è guardare il cielo blu o camminare! Sono davvero brava a camminare”.
Jo: Quelli non sono scopi Ventidue, quello è semplicemente vivere”.

Soul (2020)

La scintilla non ha niente a che fare con lo scopo, il quale è spesso una gabbia, è qualcosa che rende ossessivi, che vincola. La scintilla è il senso, è libertà, anche di tradire lo scopo della vita. Emerge quindi che lo scopo non è il senso, e che quando le anime dell’Ante Mondo sono pronte per incarnarsi nella materia terrestre non significa che esse abbiano trovato il loro scopo nella vita, bensì che in loro si sia instillata la scintilla che fa divampare la fiamma dell’esistenza. Ma cos’è in ultima istanza la famosa scintilla? Ce lo spiega bene Heidegger che in Essere e Tempo parla di voce della coscienza.

Un’analisi approfondita della coscienza la rivela come una chiamata. Il chiamare è un modo del discorso. La chiamata della coscienza ha il carattere del richiamo dell’Esserci [semplificando: dell’uomo] al suo più proprio poter essere e ciò nel modo del risveglio al suo più proprio essere-in-colpa […]. Alla chiamata della coscienza corrisponde un sentire possibile. La comprensione del richiamo si rivela come un voler-avere-coscienza […]. Inoltre non dobbiamo dimenticare che il discorso, e quindi anche la chiamata, non implicano necessariamente la comunicazione verbale […]. Quando l’interpretazione quotidiana parla di una “voce” della coscienza non intende alludere a una comunicazione verbale che, difatti, non ha luogo; qui “voce” significa “dare a comprendere”. Nello sforzo di aprire, proprio della chiamata, c’è un momento di urto, di brusco risveglio. Chi è chiamato, lo è dalla lontananza”.
(Heiddeger, 2017, p. 54-55).

La scintilla è come una “chiamata” alla vita, è la vita stessa che si insinua dentro di noi e ci spinge a vedere e a sentire la realtà così come si dà alla coscienza. Questo approccio fenomenologico, quindi, permette di cogliere il significato dei fenomeni nei modi in cui essi si presentano alla coscienza come dimensione intenzionale. Per far sì che ciò avvenga è importante applicare quella che Husserl chiamava epoché fenomenologica, ovvero porre tra parentesi tutto ciò che si conosce (il mondo) per poi incontrare per la prima volta e con occhi nuovi il reale. Ciò che resta di tale sospensione del giudizio è il residuo fenomenologico, ossia la coscienza. È questo, dunque, l’approccio per cogliere il senso ultimo ed essenziale del mondo con l’obiettivo di aprirsi ad una realtà non viziata da pregiudizi e preconcetti.

P. Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897)

Dal nuovo film di Disney Pixar, Soul, emerge l’idea che la vita quindi non abbia, di per sé, un senso. Atterrisce l’idea di essere-gettati nel mondo, heideggerianemente parlando, senza uno scopo e così ci convinciamo che il senso sia da qualche parte e ci incarichiamo di trovarlo a qualunque costo: magari riscoprendo un talento che avevamo coltivato da bambini, oppure appassionandoci a qualcosa di nuovo che sappia stupirci e meravigliarci ancora. La peggiore delle ipotesi è quella di trascorrere la propria esistenza ignorando il problema per paura di accorgerci che forse quel senso non c’è.

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Swiss army man (2016)

Il senso della vita non va trovato fuori dalla nostra coscienza, ma va scovato dentro di essa e quindi va inventato. Il senso d’essere di ognuno di noi non c’è fino a quando non lo diamo alla luce smettendo di cercarne uno preesistente e impiegando tutte le nostre energie per dare significati sempre nuovi. Baudelaire diceva che l’uomo è imprigionato in una “ragnatela di significati” da egli stesso prodotta ed è proprio l’azione mentale e culturale di “dare significato” alla realtà, che ci rende quello che siamo: “dispositivi semantici”. Le cose non esistono fin quando non diamo loro un significato. La nostra vita, non esiste, se non la intessiamo di sensi e significati sempre nuovi.

La bellezza dell’esistenza umana non si basa sulla realizzazione di una passione o di un talento innato da perseguire (a volte anche in modo ossessivo se si vuole raggiungere la fama o la fortuna). La meraviglia dell’esistere può trovarsi in una piccola e quasi invisibile azione, la quale però può improvvisamente illuminarci – questo sembra essere il messaggio conclusivo di Soul e della Disney Pixar.

V. van Gogh, Notte stellata (1888)

“L’uomo è solo una canna, la piú fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre piú nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiam cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale.”
(Pascal, 1967, frammento 377).

Riferimenti bibliografici

  • Abbagnano, Nicola, Fornero, Giovanni. 2009. La filosofia. Varese: Paravia
  • Biuso, G. Alberto. 2008. Dispositivi semantici. Catania: Villaggio Maori Edizioni
  • Heidegger, Martin. 2017. Essere e tempo (1927). Roma: Mondadori
  • Pascal, Blaise. 1967. Pensieri (1670). Torino: Einaudi
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