Site icon Etica-mente

Luce e Tenebra in Severino: apparire dell’eterno?

L’eternità ontologica gode dell’incessante e duplice dinamica fenomenologica: tal duplicità si dispiega nell’alternanza tra Luce e Tenebra.

Per Severino, infatti, – in accordo con Parmenide e oltre la sua stessa metafisica – tutto è eterno: tutto ciò che appare (la Luce) è eternamente anche nel momento in cui non appare ancora o non appare più (la Tenebra). Per Bontadini questo discorso risulta contraddittorio, in quanto non si può dire di un ente, che non appare più, che è ed è in eterno.

Poiché tutto è eterno, allora tutto ciò che entra ed esce dall’apparire (trascendentale) – tutto, quindi anche l’apparire (empirico, parziale) di ciò che entra ed esce dall’apparire – è anche quando non appare. Ossia, tutto ciò che entra ed esce dall’apparire – e quindi anche l’apparire dell’entrante e dell’uscente – diviene in senso non nichilistico” (Severino, Bontadini, 2017, p. 39).

Severino argomenta circa il divenire, che consisterebbe in un “entrare” e “uscire” dal cerchio dell’apparire fenomenico da parte di tutti gli enti eterni. Questo “entrare” e “uscire” non deve essere inteso come un entrare nell’essere/nulla o uscire dall’essere/nulla come vorrebbe inizialmente Bontadini.

In questa ottica va definito ex novo il senso del divenire, giacché non lo si può associare al nichilismo.

Se ciò che diviene risulta eterno, non possiamo direttamente collegarlo alla distruzione, al senso del nulla, del –non. La negazione del positivo implicherebbe l’annullamento del suo essere stesso eterno: la costituzione del negativo. Posta l’eternità, non rimane che la necessità di un essere diveniente in senso non nichilistico.

I due verbi – fortemente dinamici – “entrare” e “uscire” dal cerchio dell’apparire non stanno a significare un movimento puro, un passaggio dall’essere al non essere, ma semplicemente vengono usati in senso metaforico, per attestare l’apparizione e la non apparizione, l’illuminazione o l’oscurità temporanea.

Sulla questione dell’apparire e dello scomparire, deve essere chiarito che vi sono due diverse “tipologie” di apparizioni: quella trascendentale e quella empirica. Quella empirica è il contenuto che si manifesta nel suo essere particolare, di contro all’apparire trascendentale come orizzonte della totalità epifanica .

Lo s-comparire non presuppone, pertanto, l’annientamento, lo squagliarsi, il dissolversi. L’esperienza dello s-parire non giustifica la morte-generazione degli essenti. Di uno s-comparso si può semplicemente affermare che è stato spento.

Non si deve aggiungere nulla perché, nel momento in cui noi aggiungiamo il “non” nichilistico, in effetti, eliminiamo, tagliamo: l’essere vien fatto discendere al non essere, supremo scadimento.

Sicuramente il “non” giace nella Struttura originaria, è insopprimibile, ma il “non” non è da considerarsi come assoluta negazione dell’essere, nichilismo.

La suprema follia dell’Occidente sta nell’associazione diretta tra il non essere ontologico e il non apparire fenomenologico: l’ente che diviene è lo scomparire e il ri-apparire di ciò che è eterno.

“Nel linguaggio del nichilismo, il ‘non’ indicato dalla ‘s’ di ‘s-comparire’ afferma certamente l’annientamento del comparire. Ma al di fuori del nichilismo il termine ‘s-comparire’ indica che il ‘comparire’, incluso in tale termine, esce dal cerchio trascendentale dell’apparire. Di più: indica che la stessa eterna appartenenza di quel comparire a quel cerchio non appare più” (Severino, Bontadini, 2017, p. 67)

L’esperienza dello scomparire non è, pertanto, esperienza della differenza o dell’annientamento dell’ente s-parente. L’Occidente, avendo eretto tale metafisica, ha perso la retta via e, a causa di ciò, si ritrova in preda all’angoscia; angoscia in quanto l’uomo dell’Occaso ha obliato il suo essere stesso nientificandosi (angoscia dell’annientamento/nihil).

È stata operata la riduzione al nulla dell’oltre-oltre (superdio). L’annientamento dipende dai ragionamenti erronei di matrice nichilista. Il linguaggio del divenire dell’ente-nonente è il linguaggio dell’errore, dunque fallace.

Bontadini, in merito, risulta alquanto contraddittorio: ammette che l’esperienza dello scomparire non si pronuncia circa la negazione di ciò che scompare, eppure, allo stesso tempo, si pronuncia. È e, allo stesso tempo, non è testimone dell’annientamento dell’ente.

Bontadini disgiunge la sorte dell’apparire da quella dello s-comparire: ma lo sganciamento per Severino non si può attuare, dato che apparire e scomparire, congiuntamente, sono termini con i quali si designa l’entrare e l’uscire (l’attuarsi) dell’apparire empirico eterno entro il cerchio dell’apparire trascendentale.

“Ora, come scompare l’eterno che è questo tavolo, così scompare l’eterno che è questo attuale apparire del tavolo – cioè scompare la stessa eterna appartenenza di questo tavolo all’apparire trascendentale. L’eterno apparire di questo tavolo è appunto ciò che ‘vien meno’, cioè scompare rimanendo eterno. Che l’eterno e attuale apparire di questo tavolo scompaia, significa che tale apparire (che è empirico, finito) esce dall’apparire trascendentale” (Severino, Bontadini, 2017, p. 68)

Il senso classico dell’apparire/scomparire vien meno in favore di un’apparizione empirica che, scomparendo, si sottrae al cerchio trascendentale: la parte si sottrae al Tutto.

Un Tutto che, in virtù del suo essere eterno, vuole un’eternità nell’Unità dell’Esperienza stessa: l’attuale è eternamente. L’apparizione di certi enti esce dal trascendentale, attestando, comunque, il permanere dell’eternità dell’esperienza, della sussistenza.

L’apparire che s-compare, pur rimanendo eterno, è un apparire di apparire (in quanto apparire del suo apparire medesimo, illumina se stesso/la sua stessa illuminazione): il venire meno dell’apparire dell’ente eterno risulta un venire meno dell’apparizione dell’ente apparente, dell’apparire di tal ente.

L’apparire attuale – che è fisso nella sua eterna “dinamica” – è apparire dell’apparire attuale eterno.

Ciò che appare e scompare è la Parte che sta in relazione al tutto ma che, ovviamente, non è il Tutto. Solo della parte si può affermare il “venir meno”. E questa “sottrazione” non è l’entrare e l’uscire nel/dal nulla.

Il discorso severiniano ha voluto concentrarsi sulla metafisica. Parte da considerazioni fenomelogico-ontologiche, scavando il senso profondo dell’essere; pervenendo a una visione universale; stagliando un essere eterno; fondando, pertanto, la corrispondenza dell’ente con l’eternità (si veda anche il tempo).

Riferimenti bibliografici:
Bontadini – Severino, 2017. L’essere e l’apparire. Una disputa. Brescia: Morcelliana

Condividi:
Exit mobile version