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Dall’Autoritratto all’Autocoscienza: la rivolta dell’Io

Dall’Autoritratto all’Autocoscienza presenta uno scenario in cui si inseriscono pensieri e interventi che hanno contribuito alla manifestazione di esigenza di autonomia, di autorealizzazione e di volontà di distacco dai ruoli imposti dalla società patriarcale. “Ci sono dappertutto persone che senza saperlo cercano se stesse, la pace interiore, il mondo migliore, il contatto umano, la comunicazione con gli altri, l’amore reciproco. Ogni tanto sentono di avere dentro di sé qualcosa che non ha trovato espressione, né risonanza, qualcosa che è rimasto fermo, chiuso dentro diloro, senza possibilità di espandersi. Penso che una scintilla qualsiasi possa suscitare in loro la volontà di trovare sé stessi, e quindi l’umanità perduta” (Tarina, 1973, p. 7).

Alla pretesa di stendere una complessa biografia, Carla Lonzi risponderà con il rifiuto. Si rifiuta di essere considerata una scrittrice o men che meno una “teorica” del femminismo. Scrivere è stato il modo in cui, per tutta la vita, Lonzi ha cercato di conciliare due entità che tendevano costantemente a divaricarsi: da una parte quello che accadeva fuori di lei lungo il corso degli eventi e dall’altra parte ciò che avveniva dentro di lei. La molla iniziale le è stata fornita dalla voglia di realizzare un’esigenza stringente e prossima nell’osare la trascendenza del proprio vissuto. La determinazione alla scrittura le serve come via di fuga al tormento della sofferenza e alla risoluzione del dissidio che ella avverte tra sé e la vita esteriore.

E sarà lungo queste pagine disparate di materiale accumulato, che lei stessa chiamerà “un unico romanzo della mia vita” (Boccia, 1991, p. 31), a sentire di avere espresso il mistero della sua esistenza. Attingere una posizione di tale natura è quanto di più arduo una donna possa fare: è necessaria l’insistenza, perché il rivolgersi una donna a sé stessa ed un suo impegnarsi nel mondo, nelle forme che la fedeltà a sé riesce a trovare, non è poi così scontato.

“La liberazione della donna sempre invece doversi sempre rivelare portatrice di qualchealtro bene, oltre a quello di dare ad una donna la possibilità di vivere e pensare in rapporto a sé stessa. A questo scopo, apparentemente semplice ed angusto, in realtà arduo e di portata globale, è rivolta interamente Carla Lonzi” (Boccia, 1991, p. 30).

Manifestazione Femminista, 1970

Dal 1960 al ’69 Carla Lonzi si dedica professionalmente all’arte, guadagnando una posizione tale che, senza identificarsi con il ruolo di “critico”, senza lasciarsi determinare dai meccanismi del mestiere e delle rigide logiche istituzionali, riuscirà a muoversi all’interno dell’arte da vera e propria protagonista. La condizione di porsi a metà strada tra l’artista e lo spettatore-fruitore porterà Lonzi a sdoppiarsi: collocandosi ora alle spalle dell’artista, ora a fianco dello spettatore, cercando in entrambi i casi, di congiungere immedesimazione e distacco (Boccia, 1991, p. 47). (Per ulteriori approfondimenti si veda anche questo post).

L’arte per Lonzi si pone come una delle attività che l’essere umano realizza non allineandosi con il fare, ma piuttosto dando vita al gesto con cui si realizza: l’opera non ha più valore in sé ma è parte dell’intero processo in cui mette in gioco se stesso.

Per questo il ruolo del critico è il primo ad essere messo sotto analisi: il vero ed il falso artista, come il bello o il brutto in arte, possono essere riconosciuti affidandosi non solo alle competenze del critico, ma principalmente all’originalità creativa dell’artista. Lonzi ci pone, così, dinnanzi al problema da cui origina tale ideologia, sfuggendo così alla duplice trappola del tradizionalismo: tenderà ad inventare una forma capace di superare la linea d’ombra. che divide l’artista da chi non vive la creatività operativamente.

Ma, nel momento in cui raggiungerà una maggiore forma di consapevolezza critica e ritenendo fallito il tentativo di superamento della linea d’ombra, Lonzi abbandonerà l’arte e gli artisti ma non il problema che entro questa dimensione ha scoperto e inteso affrontare (Boccia, 1991, p. 51).

D. Velazquez, Venere e Cupido (1647-51)

“Per orientarmi su una domanda tanto assillante e che mi accomunava a questi artisti che via via sceglievo: l’artista chi è? Dando per scontato che l’opera è solo il prodotto dell’artista, spostavo su di lui la questione che un tempo era posta sull’opera. Per diversi anni questo interrogativo l’ho vissuto con loro […]. Poi ho avuto bisogno di pensare al problema per i fatti miei, in prima persona […]. Ma ormai avevo imparato la lezione dai miei artisti e andarmene non mi ha spaventato, anche se spaventoso. Questa uscita mi ha permesso di arrivare ad un distacco che mi permetterà di tornare” (Boccia, 1991, p. 49).

In uno dei primi testi di Rivolta Femminile, intitolato Assenza della donna dai momenti celebrativi dalla manifestazione creativa maschile, la donna appare come colei che meglio interpreta la figura dello spettatore all’interno della società. Nel momento in cui questa scoperta avviene, in lei si instaura un senso di fallimento che la ostacola di fronte al tentativo di oltrepassare nell’arte. La necessità di mantenere ferma la distinzione dei ruoli tra chi realizza la creatività e chi la vive passivamente incorpora analogamente la struttura della distinzione di base tra uomo e donna. “L’uomo è da sempre abituato a realizzare la sua opera, fruendo dell’apporto misconosciuto della donna e potendo contare su di lei pervederne riconosciuto il valore” (Boccia, 1991, p. 68). Secondo Lonzi, sono due le strade che una donna potrebbe percorrere affinché riesca a sottrarsi alla funzione meramente recettiva: la prima, sarà la strada alienante che l’uomo sarà pronto a riconoscere alla donna con indulgenza, e cioè la strada del femminismo pronto ad instaurare la parità sul piano creativo che storicamente è stato improntato dall’uomo; la seconda sarà l’intraprendenza da parte della donna di recuperare una sua creatività lontana dai modelli preimposti dal sesso dominante.

“Assentandoci dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile noi non diamo un giudizio ideologico sulla creatività né la contestiamo, ma, rifiutandoci di accoglierla, mettiamo in crisi il concetto che il beneficio dell’arte, sia una grazia somministrabile. Non credere più a una liberazione di riflesso fa uscire la creatività dai rapporti patriarcali” (Lonzi, 1970, p. 63).

Manifestazione 8 Marzo 1972, Roma

Risolto l’equivoco che fuori dalla cultura esiste uno spazio che garantisce l’integrità della donna, anche se dominata e oppressa, resta l’immagine del concetto di “vuoto” a cui verrà dato il nome di “tabula rasa”.

E su questo vuoto, che era me stessa, potevo finalmente ascoltare la mia voce interiore. […] Questo è stato all’origine il lavoro di Rivolta Femminile: allontanare tutte le suggestioni culturali, soprattutto quelle più insospettabili. È stato un lavoro enorme, è proseguito sempre più individualmente, e continua. […] È soltanto dopo avere accettato la propria voce interiore che si possono avere tutti gli interlocutori possibili. […] avendo il tuo appiglio in te stessa. Non è più “cultura”, sono interlocutori” (Chinese, 1976).

Dunque, come farà una donna a trovare risonanza in sé? Praticando l’Autocoscienza: una sorta di training della presa di coscienza, una geniale invenzione che darà dignità ad un’esperienza antica delle donne, quella di “parlare delle loro cose al riparo dell’orecchio maschile” (Boccia, 1991, p. 191). Lonzi mette al centro della relazione tra donne il concetto di riconoscimento, che si manifesta nel momento in cui si affida nelle mani di un’altra donna la propria coscienza. In quel momento si acquisirà la vera autenticità che verrà concretizzata nel riscontro con la coscienza di un’altra donna. “Questo è l’evento prodotto dal femminismo. Il divenire cosciente della donna introduce “il soggetto imprevisto”, rompe la continuità della storia, apre il destino del mondo ad un cammino anch’esso imprevisto”(Lonzi, 1970, p. 47).

Lonzi vs Hegel: partecipazione speculativa della donna al dibattito filosofico

L’opera dal titolo Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale ha avuto un ruolo di notevole importanza per lo sviluppo dei gruppi di autocoscienza, per la formazione culturale, l’educazione alla sessualità e la presa di coscienza di un’intera generazione di donne.

Un passo recitava così: “L’universalismo del pensiero è per le donne qualcosa di invalidante poiché, nell’operazione di depurazione dalle determinazioni che lo vincolano, la difformità tra uomo e donna svanisce”. Dunque, al fine di evitare la sopraffazione, la donna necessita di attuare in sé la trascendenza. Questo significherebbe, per essa, porsi in una situazione analoga a quella con cui l’uomo ha dato inizio alla cultura e alla storia. “In Lonzi, percepire la trascendenza in questo modo, attua una sorta di duplicità rispetto alla produzione di teoria, sia dal punto di vista del suo personale percorso e sia per la manifestazione della donna sotto forma di soggetto. È una conclusione che si oppone alla formulazione del pensiero femminile nei termini della “duplicazione della coscienza e di trascendenza” (Boccia, 1991, p.109). (Per ulteriori approfondimenti sul tema della donna si veda questo post ).

G. W. F. Hegel, in pop art

Ragion per cui, il punto cruciale del pensiero lonziano mira indissolubilmente verso la speculazione filosofica di Hegel: speculazione che tende verso un connubio dal sapore agrodolce, nel quale sopravvive l’eco di una filosofa che va ben oltre la via filosofica per aspirare ad un pensiero, secondo cui, la corporeità femminile debba essere riconosciuta in quanto mente. È ormeggiando il corpo stesso che essa tende sempre più alla frattura del circolo dialettico:

Non siamo in presenza di un pensiero che introduce nuovi concetti nello sviluppo della conoscenza, o che vuole affiancare alle altre figure in cui Il Soggetto si incarna, quella femminile. La pretesa di Lonzi sarà quella di seguire una via della trascendenza che conservi il segno del corpo, dica la sua differenza sessuale” (Boccia, 1991, p. 110).

A tal proposito: “Intendo con uomo il soggetto che è il solo protagonista della cultura, e non l’individuo maschio, il quale non è affatto prioritariamente escluso come possibile interlocutore” (Boccia, 1991, p. 113).

Per Lonzi, la libertà del pensiero femminile verrà attuata, non tenendo fuori l’uomo dal pensiero ma facendo in modo che quest’ultimo assuma la sua stessa coscienza. La parola di una donna può avere due significati in base al suo destinatario e per il suo modo di porsi, prima ancora che per le sue parole. Si può trattare di una parola detta solo per apparire, per “fare cultura”, escludendo la propria soggettività femminile, divenendo così la “donna dell’uomo” priva di autenticità. Anche le intellettuali, le così dette donne emancipate che hanno deciso di confrontarsi con l’uomo sul suo stesso terreno, sono “donne dell’uomo”. Inquanto tali, non rinunciano alla femminilità, intesa come inferiorità interiorizzata (Boccia,1991, pp. 114-115), perché non mettono in discussione l’unicità del protagonista e l’universalità delle forme con cui la coscienza maschile si è fatta assoluta. Dunque, ciò che manca nel modo di porsi della donna, attraverso la cultura, è l’interrogazione su di sé, in quanto soggetto. Questo non implica che quella donna non possa arrivare a risultati culturali eccellenti, ma la sua passione e la sua attenzione saranno rivolti ad altro. Questo non porterà però a produrre quello spaesamento da sé indispensabile al raggiungimento dell’autocoscienza. L’unica alternativa per dare significato alle parole è quella di cambiare il destinatario, il quale dovrà essere donna. Gli uomini potranno solamente essere degli interlocutori mentre il destinatario non potrà non essere femminile.

Raccolta dei libri di C. Lonzi e Rivolta Femminile (1970-78)

Si asserisce che l’unica relazione possibile del dialogo in questi termini è realistica ma anche cognitiva se e solo se si verifica tra donne. I luoghi in cui questa relazione si attua assumono i caratteri di comunità, cioè di appartenenza a un mondo comune in cui l’essere donne viene inventato e non scoperto come preesistente.

In Hegel, Lonzi nota che l’essere donna non è posto come una condizione umana, poiché dipende da un principio divino, s’incarna in una essenza metafisica immutabile:

Esaminiamo il rapporto donna-uomo in Hegel, il filosofo che ha visto nel servo il momento traente della storia: egli, più insidiosamente di altri, ha razionalizzato il potere patriarcale nella dialettica tra un principio divino femminile e un principio umano virile. Il primo presiede alla famiglia, il secondo alla comunità.

“Mentre la comunità si da il suo sussistere solo distruggendo la beatitudine familiare e dissolvendo l’autocoscienza nell’autocoscienza universale, essa produce in ciò che opprime e che le è impari tempo essenziale, cioè nella femminilità in generale, il suo interiore nemico”. La donna non oltrepassa lo stadio della soggettività: riconoscendosi nei congiunti e nei consanguinei essa resta immediatamente universale, le mancano le premesse per scindersi all’ethos della famiglia e raggiungere l’autocosciente forza dell’universalità per la quale l’uomo diventa cittadino. Quella condizione femminile che è il frutto dell’oppressione è indicata da Hegel come il movente dell’oppressione stessa: la differenza dei sessi viene a costituire la base naturale metafisica tanto della loro opposizione quanto della loro riunificazione». Nel principio femminile Hegel ripone l’a-priori di una passività nella quale si annullano le prove del dominio maschile. L’autorità patriarcale ha tenuto soggetta la donna e l’unico valore che le viene riconosciuto è quello di esservisi adeguata come a una propria natura” (Lonzi, 1970, p. 25).

A tal proposito Hegel, rimanendo fedele alla tradizione del pensiero occidentale, sostiene che la donna per sua natura sia ferma in uno stadio, a cui egli attribuisce tutta la risonanza possibile, ma tale che un uomo preferirebbe non essere mai nato se dovesse considerarlo per sé stesso.

Riferimenti bibliografici

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