Site icon Etica-mente

La corporeità digitale di una virtual influencer: Venere Italia

Venere Italia 23. Open to meraviglia. In questi giorni è stata oggetto di un polverone mediatico la campagna pubblicitaria lanciata dal Ministero del Turismo per promuovere le meraviglie storico-artistiche e paesaggistiche italiane, distinta dal claim Open to Meraviglia, e realizzata dal gruppo Armando Testa per l’Enit, Agenzia Nazionale del Turismo. Un elemento che non passa inosservato in questa campagna multisoggetto, e che anzi è stato dai più criticato, la scelta di utilizzare la Venere di Sandro Botticelli come testimonial, rappresentandola in veste di una virtual influencer che cattura selfie in diverse location italiane, come ad esempio il Lago di Como o i dintorni del Colosseo. Questa campagna ha suscitato diverse critiche, considerata stereotipata, kitsch e soprattutto costosa, con un budget di 9 milioni di euro.

Se non possiamo chiedere al Botticelli cosa pensi della modernizzazione della sua Venere (anche se i più forse lo immaginano rivoltarsi nella tomba), possiamo tuttavia analizzare la rappresentazione digitalizzata di Venere Italia, non tanto da un punto di vista tecnico-pubblicitario, bensì prendendo il caso della campagna come spunto di riflessione filosofico per parlare di digitalizzazione (per approfondimenti su questo argomento si veda questo post), e in particolare digitalizzazione delle opere d’arte e corporeità digitale. 


Proprio parlando di corporeità digitale, il caso di Venere Italia è un caso studio eclatante di decontestualizzazione di un’opera d’arte e non solo dal punto di vista fisico. La Venere di Botticelli è stata strappata alla sua tela e alla pastosità dei suoi colori per essere trasfigurata in un mondo digitalizzato fatto di bit (0-1) e pixel. Ma non solo, ha abbandonato il suo contesto storico-semantico per cui Botticelli l’aveva data alla luce, ha perduto la sua identità ed è divenuta altro: una virtual influencer che va in giro per l’Italia a promuovere le nostre bellezze e testimoniando il tutto sul suo profilo Instagram @venereitalia23.

Le hanno attribuito una nuova vita, una nuova identità, è stata inserita nel nostro contesto storico e le sono stati dati i nostri stessi strumenti di comunicazione: uno smartphone e i social media. Sicuramente è ed è stata una grande strategia pubblicitaria. Strategia che ha snaturato l’opera d’arte originale, e ciò é riscontrabile anche nel cambiamento della corporeità fisica dell’opera d’arte: il volto della Venere influencer è stato modificato in base alle esigenze promozionali. L’aria malinconica tipica della bellezza rinascimentale è sostituita da un’aria sognate e “gioconda”. Anche il linearismo del dipinto, che è simbolico e preponderante, è più sfumato nella Venere Italia, quasi assente. Il volto è smagrito rispetto all’originale. Insomma, è stata riadattata a canoni di bellezza contemporanei.  Questa Venere modernizzata è quindi una sorta di ibrido tra un quadro e un essere umano, e ciò ci mette un po’ a disagio: tecnicamente parlando siamo nella curva dell’ Uncanny Valley, la regione delle emozioni negative che ci suscitano questi artefatti a metà strada tra il reale e l’artificiale, che alla fine nella maggior parte dei casi risultano bislacchi.

M. Masahiro, Teoria della “Uncanny Valley” (1970)

Da alcuni potrebbe essere addirittura paragonata al mostro a cui il dottor Franckestein diede vita, volendo andare al di là dei propri limiti. Frankenstein, romanzo di Mary Shelley, rappresenta infatti una critica alla scienza e alla tecnologia senza limiti, e un invito a riflettere sulle conseguenze morali e sociali delle azioni umane. Il romanzo mette in evidenza la responsabilità morale dei creatori nei confronti delle loro creazioni e sottolinea l’importanza di considerare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni. Ma l’opera solleva anche questioni più ampie riguardanti la scienza e la tecnologia e il loro potenziale.

L’uomo del XXI secolo ha superato già da un pezzo la soglia dei suoi limiti, eppure la tecnica ha giovato molto alle nostre vite, seppur le controindicazioni sono sempre nascoste dietro l’angolo. 

Modernizzare e soprattutto digitalizzare un’opera può avere i suoi pro, come una divulgazione dell’arte che attraversa mari e confini, istantaneamente. Le nuove tecnologie inoltre possono fare da supporto all’arte, per esempio in attività didattiche interattive o prestarsi a guidare i visitatori in percorsi artistici-museali. Non mancano però i fattori contro, tra i quali il ridurre e appiattire un’opera ai nostri schemi mentali contemporanei, schemi con cui quell’opera non ha nulla a che vedere perché era stata pensata in una forma mentis completamente differente. Così la Venere di Botticelli decontestualizzata potrebbe essere sinonimo di banalizzazione, riduzione, ed eccessiva semplificazione. 


L’operazione strategica di digitalizzazione che ci restituisce Venere Italia, non conserva più i valori e l’aura dell’intera opera originale per cui era stata pensata. La teoria della riproducibilità dell’opera d’arte di Walter Benjamin è stata esposta nel suo celebre saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936). In questo testo, Benjamin esplora il modo in cui l’avvento della riproduzione tecnica, in particolare la fotografia e il cinema, abbia influenzato la natura stessa dell’arte. Secondo Benjamin, l’opera d’arte tradizionale era un’esperienza unica e irripetibile, legata alla sua presenza fisica in un luogo e in un momento specifici. La riproduzione tecnica, tuttavia, ha reso possibile la produzione di copie multiple e la diffusione dell’opera d’arte in tutto il mondo. L’opera d’arte non resta più solo preclusione dei salotti e dei musei, ma si fa opera accessibile a tutti: commerciale e popolare.

Questo cambio di paradigma che porta alla cultura di massa ha avuto un impatto profondo sulla percezione dell’opera stessa e sul suo significato. Benjamin sostiene che la riproduzione tecnica abbia privato l’opera d’arte della sua aura, cioè dell’unicità e dell’autenticità che la rendevano preziosa ed inestimabile. Inoltre, la riproduzione tecnica ha permesso di estrarre l’opera d’arte dal suo contesto originale, perdendo così il suo significato culturale e storico. Ed è proprio questo il punto cruciale su cui si inserisce il caso di Venere Italia.

Ora il punto di domanda è: la digitalizzazione dei corpi (di opere d’arte, dipinti, sculture etc.) e l’impiego di AI in contesti artistici può essere inteso come un modo alternativo, al giorno d’oggi, per avvicinare le persone all’arte, o ancora, una modalità differente di cui l’arte si serve per esprimere nuovi valori? Le nuove frontiere dell’era digitale ci permettono di spaziare con la fantasia e ci potrebbero anche permettere di fare arte trasmettendo valori in modo dinamico. 

Gruppo Armando Testa, Venere Italia. Open to meraviglia (2023)

Se é così, Venere Italia, o la Ferragni botticelliana, come è stata definita dai più, può essere presa come emblema di questo novizio ruolo dell’arte che si fa divulgatrice seguendo i canali comunicativi della nostra epoca. Un influencer è una figura che si presuppone abbia un seguito, una personalità, un pubblico che si fida e segue i suoi consigli sulla base delle cose che ha già fatto prima. Venere Italia 23 nasce ora, ma sicuramente vuol far presa sul grande amore che gli appassionati d’arte rinascimentale di tutto il mondo riserbano per l’autentica Venere botticelliana. La virtual influencer ha già un seguito piuttosto ampio assicurato, anche se tale pubblico potrebbe non apprezzarla come l’originale, questo il rischio.

S. Botticelli, La nascita di Venere (1485)

Nel dibattito pubblico molti si domandano se Venere Italia stia veramente sortendo l’effetto desiderato, se stia avendo successo per il fine per cui è stata creata, ovvero pubblicizzare le bellezze italiane. Forse è troppo presto per rispondere a tele quesito, in fondo la campagna è stata lanciata solo poche settimana fa, e in Italia ha sollevato numerose polemiche. Non è in questa sede che ci soffermeremo ad analizzare tali diatribe o a lanciare pronostici. In questo spazio abbiamo considerato il possibile impatto che può avere o meno un corpo digitalizzato sulle nostre vite e soprattutto come leggere tale corpo senza rischiare di restare imbrigliati in eccessive semplificazioni. Ora veniamo al punto finale del discorso, ovvero: se e come si può conciliare l’arte tradizionale con digitalizzazione e AI (per ulteriori approfondimenti si rimanda a questo post scritto da ChatGPT sul nostro blog).

In generale, chi è a favore dell’utilizzo dell’AI nell’arte crede che questa possa portare a nuove forme di creatività e di espressione artistica, aprendo la strada a nuove scoperte e a una maggiore democratizzazione dell’arte. L’intelligenza artificiale potrebbe aiutare gli artisti a creare opere d’arte innovative e stimolanti, può essere utilizzata per creare opere d’arte personalizzate, adattate ai gusti e alle preferenze dei singoli utenti, quindi per creare opere d’arte che combinano elementi di creatività umana e di algoritmi. E ancora l’AI può essere impiegata per esplorare nuovi modi di creare e di percepire l’arte, aprendo la strada a nuove forme di espressione artistica. Infine potrebbe avere un impatto significativo sulla nostra comprensione dell’arte aiutandoci a esplorare nuovi mondi e a fornire nuove informazioni sulla natura dell’arte e della percezione estetica. Insomma, testimonianze nettamente positive sull’impiego di AI in campo estetico non mancano.

Venere Italia 23 non è la Venere de La nascita di Venere di Sandro Botticelli, non è la Venere rinascimentale e non lo sarà mai. Questa è una verità chiara e distinta, che abbiamo giustificato in questa riflessione. Un corpo digitalizzato non potrà mai essere uguale alla corporeità fisica originale (di qualunque fisicità si tratti), con una sua storia e un ben preciso humus culturale alle spalle che non può e non deve essere cancellato. Nonostante ciò, un corpo digitalizzato è una corporeità che si presta sicuramente ad avere una nuova vita e una nuova storia. Infatti, 

Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che al momento attuale non è ancora in grado di soddisfare attualmente. (W. Benjamin, 1966, p. 42)

IA e digitalizzazione possono essere validi strumenti di supporto anche in campo artistico, tenendo ben presente però le conseguenze morali ed etiche di tale utilizzo e avendo chiaro in mente il messaggio che si vuole lanciare, senza cadere in un tentativo di banalizzazione dell’opera. 

Riferimenti bibliografici

  • Benjamin W. (1966), L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino.
  • Chalmers D. (2018). The Singularity and Art: Five Theses, in Harvard University Press Blog, 2018.
  • Manovich L. (2017). Artificial Intelligence in Art: Can a Computer Really Be Creative?, in The Conversation.
  • Miller I. A., (2020). Artificial Intelligence and the Future of Art, in The Wall Street Journal.
  • Shelley M. (2016), Frankestein (1818), Einaudi, Torino.

Condividi:
Exit mobile version