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WhatsApp, la fragilità dei sentimenti dietro le “locked chats”

Fonte foto: Flickr

New locked chats in WhatsApp make your conversations more private. They’re hidden in a password protected folder and notifications won’t show sender or message content

Esordisce così il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, qualche giorno fa nella sua bacheca social. La novità al momento sotto i riflettori riguarda la possibilità di rendere totalmente private le chat di WhatsApp. Queste ultime, infatti, verrebbero protette da una password o da un’impronta digitale. Solo una notifica, con mittente e contenuto totalmente in anonimo, avviserebbe il destinatario del messaggio.

Una novità che fa sorridere e che smorza i toni della monotonia, ma che fa anche riflettere. Sorge spontaneo chiedersi quale potrebbe essere lo scopo di una tale azione. Ma soprattutto: abbiamo davvero bisogno di tutto questo? Al di là delle possibili risposte, la riflessione è incentrata sul fronte relazionale. A che punto sono arrivati i rapporti umani? Che forma hanno e quale altra potrebbero assumere?

La “vita liquida”, come la definisce Zygmunt Bauman, è nota proprio per la volatilità delle relazioni. Esserci e non esserci, essere e apparire, prendere e lasciare. È una continua ambivalenza che viene fomentata dai canali di comunicazione come WhatsApp: possiamo essere qui e altrove. E a questo punto, forse, non siamo realmente in nessun posto. Abbiamo la possibilità di essere sfuggenti e di scegliere tra una varietà potenzialmente infinita di opzioni. Poco importa che si tratti di rimpiazzare il vecchio cellulare col nuovo o una persona con un’altra. Il tratto tipico della liquidità moderna consiste nel non avere legami, ma solo connessioni (lo abbiamo già approfondito in precedenza focalizzandoci sul consumismo e sull’ambivalenza individuo/merce). Urge, però, ripeterlo per comprendere ancora una volta alcune dinamiche. Risulta vincente chi non si impegna in una relazione con l’altro e si adatta alle “mareggiate”, ai continui cambiamenti, per andare alla costante ricerca della novità.

A questo punto, l’idea di Zuckerberg si sposa bene con il perenne senso di precarietà dell’essere al mondo. E probabilmente, rispondendo alla domanda posta sopra, i rapporti in realtà sono amorfi, dunque privi di una forma ben definita. Ormai siamo abituati all’incertezza, all’essere e al diventare invisibili. Allora le cosiddette “locked chat” potrebbero perfettamente corrispondere al concetto di istantanea obsolescenza espressa da Bauman nel suo testo La società dell’incertezza:

Il risultato generale è la frammentazione del tempo in episodi. […] non attaccarti emotivamente troppo alle persone che incontri alle soste – meno sei legato, meno ti costerà andare avanti.

La figura che secondo il sociologo ci descrive è quella del vagabondo che esprime tutto il disprezzo dell’essere legati e fissati. Sembra non esserci speranza di creare dei legami duraturi, bensì sono possibili solo clausole a scadenza e a libera ricontrattazione. L’obiettivo delle “locked chat” riecheggia nella seguente dichiarazione baumiana:

Qualsiasi cosa accade in modo improvviso e si dissolve senza lasciare traccia. In questo mondo, i legami sono disseminati in una serie di incontri successivi, le identità sono mimetizzate da maschere indossate una dopo l’altra, le storie di vita sono frammentate in una serie di episodi che rivestono importanza per un periodo breve, vincolato ad una memoria effimera. Non si sa nulla con certezza.

Se tutto è facilmente usa e getta come ci insegna la logica consumistica, non ne vale la pena impiegare energie per scavare nel nostro abisso interiore e in quello altrui. Ci adagiamo sulla superficie, senza dover faticare. Anche perché il più delle volte si pensa che nessuno meriti il nostro impegno in una missione simile. A tal proposito Bauman, riferendosi al pensiero di Henning Bech, descrive le relazioni come anonime:

Poiché sono stimolate e sostenute solo da un’attenzione e un desiderio sempre mutevoli, le relazioni umane, proprio come accade per le merci di un supermercato, sono acquistate o riposte con estrema disinvoltura.

Tutto quindi diventa un toccare senza trattenere e un accarezzare senza soffermarsi. O addirittura si può arrivare a essere del tutto intoccabili, come viene affermato dallo stesso autore in Amore liquido. Non c’è più un tempo e uno spazio del vivere, tutto si annulla e diventa insignificante. Come profughi passiamo da una persona all’altra, entriamo e usciamo dalle vite altrui con estrema facilità perché, in fondo, niente ha più senso. Ci annoiamo così facilmente che solo una novità, per quanto anch’essa effimera, può catturare la nostra attenzione momentaneamente. Allora andiamo alla ricerca di nuovi luoghi per soste a tempo determinato, poi il viaggio prosegue, verso chissà dove…

Le chat anonime rimandano a una dimensione di “fragilità e smaltibilità dei significati, la indeterminatezza e plasticità delle identità e soprattutto la nuova perpetua transitorietà”. Manca la voglia di confrontarsi faccia a faccia, è più comodo risolvere o evitare qualsiasi situazione con il tasto “rimuovi” o “nascondi” da dietro uno schermo. Meglio scegliere l’opzione della fuga, molto più comoda, che rispecchia a pieno il “crescente orrore alla prospettiva del confronto vis-à-vis con gli estranei”.

A tal proposito, non è casuale la scelta dell’immagine di copertina di questo articolo. L’opera, denominata Love, è figlia dell’artista ucraino Alexander Milov. Quest’ultimo ha avuto modo di farla conoscere e di ricevere molti apprezzamenti durante una mostra annuale tenutasi nel deserto del Nevada. Al di là delle possibile declinazioni che l’opera potrebbe assumere, risulta scontato pensare alle relazioni umane. La figura di un uomo e di una donna, di spalle, potrebbe far pensare alla mancanza di dialogo e, tornando al nostro tema, dunque si ricollega all’essere invisibile per l’altro. Piegandosi su se stessi, i due esprimono un atteggiamento di chiusura non solo verso l’altro ma anche verso di sé. Si cerca sempre di spostarsi e si diventa sempre più trasparenti come viene confermato dalla poca consistenza delle due figure. Ma c’è un dettaglio che non può sfuggire: il bambino interiore di ciascuno continua a girarsi e a cercare l’altro. In questa vita liquida ignoriamo quella voce che viene da dentro, quel bambino che chiede di ascoltare la purezza del sentimento vero, non ancora inquinato dalla società superficiale. E il punto è proprio la superficie, l’apparenza e l’involucro oltre cui non riusciamo ad andare mentre, invece, il bambino resta proprio nella parte più profonda dell’essere umano e fa luce nell’enorme buio di un’anima vuota.

In definitiva, viviamo con la consapevolezza che niente può essere considerato un punto fermo. E qualora considerassimo una persona come un appoggio, avremmo la costante sensazione di cadere insieme a lei se dovesse spostarsi. E capita sempre più spesso che tutto arriva e scivola velocemente, senza rendersene conto. “Cogli l’attimo… sì, però prima che sia troppo tardi”. Ed è sempre troppo tardi per un tempo che ci sfugge dalle mani senza possibilità di trattenerlo, tanto quanto le persone. In fondo, non si tratta soltanto di chat: è la vita stessa ad essere diventata anonima, senza un vero volto, ma piena di maschere che cerchiamo di cucirci addosso o di cambiare in quel famoso backstage descritto da Erving Goffman. Ci prepariamo ogni giorno ad andare in scena scegliendo la parte dell’involucro più presentabile e ci crogioliamo nel vuoto esistenziale. Siamo fatti di carne ed ossa ma preferiamo l’artificiosità dell’essere, l’apparire. Ci nutriamo del superfluo e rimaniamo perennemente affamati di verità. Nella società delle apparenze è meglio nascondere e venire nascosti per non far emergere il vero sé. “Vicino” è un posto inesistente per una massa di fantasmi che non arriva mai a sfiorarsi davvero. Archiviare e restare indifferenti è l’unica soluzione adatta “all’invisibilità dei sentimenti”.

Riferimenti bibliografici

  • Bauman Z. 2017. Amore liquido. Roma-Bari: Laterza.
  • Bauman Z. 1999. La società dell’incertezza. Bologna: Società editrice il Mulino.
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