Nell’opera I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, il filosofo Plessner, lasciandosi alle spalle l’antica antitesi tra anima e corpo, mette in analisi la natura dell’uomo in una prospettiva unitaria di “essere e avere un corpo”. Ponendo al centro della sua riflessione filosofica il rapporto tra l’ambiente e l’essere umano, giunge a definire quest’ultimo come un essere complesso, cioè un tutto intero. In questo suo modo di riflettere sull’uomo c’è molto del lavoro di Scheler, altro grande pensatore dell’antropologia filosofica, che parla di “persona”. Di difficile definizione, con questa espressione il filosofo intende definire l’uomo come unione inscindibile di corpo e spirito il cui aspetto fondamentale consiste nel carattere di apertura verso la natura, il prossimo e Dio.
L’indagine sull’uomo e dell’uomo è una tematica che ha sempre interessato la filosofia. Come cambia la sua analisi agli inizi del Novecento rispetto al passato? Fino a questo momento il problema-uomo non era stato indagato in autonomia e non occupava un posto centrale nella riflessione dei pensatori, adesso si sente il bisogno di comprendere i tratti caratteristici del comportamento umano anche grazie al contestuale sviluppo ed emancipazione delle scienze umane.
Plessner definisce l’uomo come “eccentrico”; per affermare ciò parte dal principio di posizionalità. In tal modo, sottolinea la relazione essenziale che l’uomo pone tra sé e il mondo esterno. Per cui, con quest’ultimo concetto recupera il fondamentale e dimenticato valore corporeo – molto spesso nelle filosofie precedenti era stato trascurato in favore del più alto concetto di spirito – sempre nel suo duplice senso di essere e avere.
Il corpo è la caratteristica fondamentale dell’essere umano. Questo può erroneamente indurci ad accostare l’essere dell’animale all’uomo, analizzando approfonditamente questo aspetto viene fuori che l’animale è “centrico” cioè ha la consapevolezza esclusivamente del proprio corpo, vive muovendosi solo all’interno dei suoi bisogni corporali. L’uomo, invece, ha una dimensione altra: è capace di uscire dal proprio corpo e di guardarsi dall’esterno. Tutto ciò è possibile grazie alla caratterizzante presenza dell’auto-coscienza; in tal modo ha consapevolezza di sé e del proprio agire, come essere che ha ed è un corpo.
Quando l’uomo manifesta questa sua doppia dimensione corporale, crea cultura e istituzioni. Riesce a rispondere adeguatamente agli input esterni grazie all’apertura verso il prossimo che lo porta a scegliere tra una serie di risposte la più adeguata. Guardando alle analisi condotte sull’uomo, ci si accorge che egli è sprovvisto di mezzi biologici per affrontare l’ambiente circostante. Così non è per gli animali che, invece, sono dotati di mezzi biologici consoni che li legano ad un habitat specifico. Allora per sopravvivere, l’uomo si sforza, mettendo in atto tutta una serie di comportamenti che gli permettono di fare di ogni ambiente il suo ambiente, costruendo realtà artificiali in cui si immerge, come le città.
Elemento fondamentale per la comprensione del doppio significato corporeo è l’aspetto espressivo dell’uomo, che si manifesta mediante il linguaggio parlato, ma anche e soprattutto attraverso micro-espressioni o gesti. Si tratta di una competenza eccezionale e distintiva dell’essere umano. In particolare, vediamo come l’uomo abbia sempre cercato di affinare delle tecniche che gli permettessero di potersi muovere e comunicare con efficacia all’interno dell’ambiente che egli stesso si è costruito.
Il linguaggio, quindi, come mezzo per orientarsi e al contempo distaccarsi dal mondo, aiuta l’uomo a conquistarsi la sua “posizione eccentrica” (Pansera, 2001, p. 95).
È da sottolineare il fatto che la posizione eccentrica si esprime non soltanto attraverso le capacità razionali messe in atto dall’uomo, di fondamentale importanza sono tutti quei caratteri spontanei che sono difficili da sottoporre a controllo, nel caso di Plessner si parla del riso e del pianto.
Specificatamente sono due caratteri che l’uomo possiede e condivide con il mondo animale. Trovatosi sprovvisto di adeguate risposte razionali di fronte ad una situazione di difficile gestione si lascia andare a queste manifestazioni espressive improvvise. Potremmo dire del riso che è per eccellenza l’espressione esplosiva dell’uomo. Per cui il suo manifestarsi è incontrollabile, di fatti difficilmente riusciamo a soffocare una risata quando scaturisce da una situazione di forte ilarità. Invece, il pianto ha un origine diversa, emerge più lentamente anche se nasce da una situazione limite che non si riesce ad affrontare e da cui l’uomo si fa trasportare.
Con il riso ed il pianto si mette in luce la dualità di essere e avere un corpo e la problematicità che ne segue. Entrambe sono manifestazioni improvvise, che avvengono successivamente ad un momento avvertito come minaccioso che porta ad una perdita di controllo. In altre parole, davanti ad un contesto sentito come difficile, l’uomo cede in favore della corporeità lasciandosi andare ad un meccanismo biologico che gli concede una via di fuga dalla situazione stessa.
La vita umana è contrassegnata da un continuo sforzo, in particolare, cerca di mantenere un equilibrio interiore tra essere e avere un corpo, questa duplicità produce una frattura tra la dimensione psichica e quella fisica che l’essere umano ha l’onere di dover tenere in piedi. La domanda che segue è se riesce in questa impresa. Considerare queste due dimensioni come scisse può portare ad un esisto pessimistico. Si tratta più che altro di essere in continua lotta, in modo tale da ricercare continuamente questo agognato equilibrio, che a volte si perde.
È nel carattere di “immediatezza mediata” cioè di perpetua mediazione, attraverso mezzi artificiali, degli stimoli provenienti dall’esterno, che si comprendere l’unicità e contestualmente la problematicità della vita umana.
Riferimenti bibliografici
- Pansera M., Antropologia filosofica. Le peculiarità dell’umano in Scheler, Gehlen e Plessner. Bruno Mondadori, Milano, ed. 2001.
- Plessner H., Il riso e il pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano. Bompiani, 2000.
Sono una studentessa di filosofia dell'Università di Catania, ho sempre amato la lettura, la musica e l'arte.