“Una volta eravamo camerate, ma ora vi dò ordini perché sono un uomo – vedete – e ho in mano il coltello e vi opero. La vostra clitoride, che custodite così gelosamente, io la strapperò, la getterò a terra, perché sono un uomo, oggi. Ho il cuore di pietra: altrimenti non potrei operarvi. Dopo vi cureranno la ferita, ed io saprò molte cose: conoscerò quelle che si curano, quelle che si trascurano” (Lonzi, 1974). Kate Millet individua nella Politica del sesso, o meglio nel sessismo, la causa primaria della condizione di oppressione delle donne, vale a dire il rapporto di subordinazione sessuale che la donna vive nei confronti dell’uomo. In maniera analoga, anche Carla Lonzi riprende il tema della sessualità, nella direzione di una metafisica carnale: lo affronta in maniera approfondita e analitica, nel suo manoscritto del 1971, La donna clitoridea e la donna vaginale.
“Nell’uomo, dunque, il meccanismo del piacere è strettamente connesso al meccanismo della riproduzione, nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti, ma non coincidono. Avere imposto alla donna una coincidenza che non esisteva come dato di fatto nella sua fisiologia è stato un gesto di violenza culturale che non ha riscontro in nessun altro tipo di colonizzazione” (Lonzi, 1973, p. 78).
Da questa citazione si può dedurre che, nella fisiologia dell’uomo, il piacere sessuale e il fine riproduttivo coincidono, tanto che l’orgasmo maschile si verifica nel momento in cui lo sperma viene depositato nella vagina. Per la donna, ai sensi della metafisica carnale di Lonzi, non succede allo stesso modo per una questione anatomica, poiché il piacere femminile è dettato da un organo indipendente dalla procreazione identificato come “la clitoride”. È opera della cultura sessuale patriarcale, in quanto severamente procreativa, a imporre il modello di piacere vaginale alla donna. In tal modo, l’uomo non solo ha imposto il proprio piacere, ma ha anche inibito il piacere naturale della donna: questo è il primo gesto di violenza maschile nei confronti della donna. Ella rinuncia alla propria libertà, instaurando, così, un rapporto di totale subordinazione e sottomissione nei confronti del sesso maschile. Rinunciare al piacere sessuale significa rinunciare alla propria autonomia. Secondo Lonzi, l’eterosessualità implica questa rinuncia, e quindi ogni forma di reciprocità nella relazione tra i due sessi opposti.
“Non ci pronunciamo sull’eterosessualità: non siamo così cieche da non vedere che è un pilastro del patriarcato, non siamo così ideologiche da rifiutarla a priori. Ognuna di noi può studiare quanto le piace o spiace il patriarca e quanto l’uomo” (Lonzi, 1973, p. 83).
Coloro che accettano il coito vaginale come modello sessuale, accettano anche di sottomettersi all’uomo e di compiere il primo passo verso l’asservimento nei confronti di costui.
“Dal punto di vista patriarcale la donna vaginale è considerata quella che manifesta una giusta sessualità mentre la clitoridea rappresenta l’immatura e la mascolinizzata, per la psicoanalisi freudiana addirittura la frigida. Invece il femminismo afferma che la vera valutazione di queste risposte al rapporto con il sesso che opprime è la seguente: la donna vaginale è quella che, in cattività è stata portata a una misura consenziente per il godimento del patriarca, mentre la clitoridea è una che non ha accondisceso alle suggestioni emotive dell’integrazione con l’altro, che sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si è espressa in una sessualità non coincidente con il coito. Tra queste due risposte alla condizione e alla cultura sessuale maschile, si pone tutta quella parte di donne la cui situazione nel sesso riflette una scarsa possibilità di identificarsi nel fenomeno, in un’infinità di circostanze soggettive e oggettive che arriva fino alla negatività assoluta in qualsiasi forma di sessualità” (Lonzi, 1973, p. 84).
La distinzione tra “donna clitoridea” e “donna vaginale” non è così rigida come potrebbe sembrare dalla descrizione delle prime pagine del manoscritto, dove la prima, accogliendo il proprio piacere vive in modo conflittuale la propria femminilità, mentre la seconda diventa, totalmente, complementare all’uomo. In realtà, l’obiettivo di questo scritto, così come dell’opera Taci anzi parla. Diario di una femminista, non è quello di marcare delle divisioni nette, ma di scardinare e scomporre le diverse e rispettive facce, con l’intento di scindere l’identità di queste donne, al fine di giungere al già citato concetto di tabula rasa. Infatti, la “donna clitoridea” non può essere definita totalmente libera, poiché ha comunque subìto il mito maschile, ma a differenza di quella “vaginale” ha provato a non assoggettarsi. Il percorso della “clitoridea”, che le permette di arrivare a questa consapevolezza al fine di metterla in atto, è stato tutt’altro che gioioso: anzi quest’ultima, ha sperimentato forti resistenze interne prima di concretizzare questa importante decisione.
Lonzi, la quale esalta i principi di una metafisica carnale, descrive in maniera dettagliata i passaggi attraverso i quali avviene il raggiungimento di consapevolezza, che va dallo spaesamento alla refrattarietà, dalla rabbia alla rivendicazione, fino ad arrivare al massimo grado di autocoscienza.
“La donna clitoridea non ha da offrire all’uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui. Non soffre della dualità e non vuole diventare uno. Non aspira al matriarcato che è una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna non è la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non assoluzione e adorazione. La donna è un essere umano sessuato. Al di fuori del legame insostituibile comincia la vita tra i sessi. Non è più l’eterosessualità a qualsiasi prezzo, ma l’eterosessualità se non ha prezzo. Tutti gli ingredienti vengono mescolati e la donna ne assume per quanto riguarda la costituzione della sua persona e non per quanto le è destinato dal patriarca nell’appartenenza al sesso” (Lonzi, 1973, p. 118).
Sarà l’estremo coraggio che ci porterà ad abbattere i pregiudizi che si sono andati radicando nella scienza passando, così, dalla teoria ai fatti stessi. Se prescindessimo dalle teorie e ci appellassimo ai fatti, ci convinceremmo di non essere né più lontani né più vicini dal prossimo che da noi stessi.
Il nostro corpo – cosa nelle cose – occupa un determinato spazio e in esso riceve certe aderenze fisiche che lo modellano.
A Ortega y Gasset spetta l’onore di avere avanzato la teoria, tipica del suo contesto storico-culturale, secondo cui “il corpo femminile è dotato di una sensibilità più intensa rispetto a quello dell’uomo; il fatto è che le nostre sensazioni organiche intracorporali sono vaghe e come indifferenti se comparate con quelli della donna. Per questo io vedo una delle radici delle quali emerge suggestivamente, gentilmente e ammirevolmente, lo splendido spettacolo della femminilità” (Parente, 2006, p. 229) – (il tema può essere approfondito qui).
Le conseguenze di ciò sono chiare: la maggior parte della vita psichica della persona femminile è più armonizzata con il suo corpo, ragion per cui si ritenga che la sua anima è più corporale. E dal momento che la cultura non è altro che l’occupazione riflessiva su ciò a cui prestiamo la nostra attenzione con maggiore inclinazione, la donna ha creato la nobile cultura del corpo, che storicamente iniziò con l’abbellimento, poi divenne igiene, poi cortesia e si è conclusa con la raffinata cultura del gesto.
Se mettiamo a confronto donne e uomini di tipo medio, di uguale educazione e cresciuti nello stesso ambiente sociale, noteremo quasi immediatamente la differenza comportamentale nei confronti dell’erotismo in sé e per sé. L’uomo, per natura come un pendolo, oscilla tra i due aspetti estremi dell’amore sensuale e dell’amore platonico. Tuttavia, se da una parte, per l’uomo è naturale che abbia desideri e impulsi carnali verso donne che non destano affetto nella sua anima, dall’altra parte, ciò non esclude il fatto che uomini di raffinata selezione e di ferma disciplina possano provare un amore puramente psichico, fatto di sentimenti trascendentali, senza provare istinti carnali.
Ma in generale, entrambi gli aspetti, non piacciono alla donna: perché anche quando il puro aspetto fisico, pervaso da un’appassionato tormento, si impadronisce del suo spirito, fa scuotere e tremare il sostegno carnale ed è così che in essa si genera “come una raffica che piega le messe d’oro in estate e trascina le foglie caduche in autunno” (Parente, 2006, p.233).
Ragion per cui, è grazie alla sua fortunata predisposizione psicologica che la donna riesce a raggiungere, senza alcuno sforzo, la perfetta unità tra l’amore dell’anima e del corpo che, senza ogni forma di dubbio, è la forma esemplare e l’equazione morale dell’erotismo.
Riferimenti Bibliografici
Cavarero, A. Restaino. F. 2009. Le filosofie femministe. Milano: Bruno Mondadori.
Chinese, M. G. 1976. È già politica. Milano: Scritti di Rivolta Femminile.
Millet, K. 1971. La politica del sesso. Milano: Rizzoli.
Lonzi, C. 1970. Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Milano: Scritti di RivoltaFemminile.
Lonzi, C. 1978. Taci anzi parla. Diario di una femminista. Milano: Scritti di Rivolta Femminile. Libreria delle donne diMilano. 2016. Non credere di avere dei diritti. Milano: Rosenberg &
Sellier.
Parente, L. 2006. Maschile e Femminile. Lo sguardo interiore nel pensiero di Ortega, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane.
Tarina, T. 1973. Una ragazza timida. Milano: Scritti di Rivolta Femminile.
Classe '97. Laureata in Scienze Filosofiche presso l'Università di Catania e attualmente Ricercatrice universitaria presso l'Università di Granada in "Estudios de las Mujeres. Discursos y prácticas de Género". Amo l'arte e adoro perdermi nella sala buia di un cinema. Ogni sera mi ritroverò con la mano sporca d'inchiostro.