L’attesa ai tempi degli esseri umani

“Attendere, aspettare rinviano al latino ‟ex-spectare” rafforzativo di ‟specere” che significa ‟guardare”. L’attesa si fa corpo nello sguardo, dove si stratificano il timore, l’angoscia, la speranza e talvolta tragicamente il silenzio, perché lo sguardo che attende chiede di rintracciare nello sguardo dell’altro a cui si rivolge una risposta alla sua attesa”. Sono forti le parole di Eugenio Borgna, tratte dal suo saggio L’attesa è la speranza.

L’ attesa è “tendere a”. É movimento. Non ancora arrivo, ma non più inizio. È qualcosa che non si può toccare con mano. È un limbo. Né essere, né non essere. Potenza che non è ancora atto, potenza che non è più potenza. Entelechia (composta da en che vuol dire “in” e da telos che significa“tensione verso il fine”) esprime una finalità interiore. È un concetto aristotelico che individua la presenza di forma pur nel determinarsi della forma stessa. Significa avere in sé il telos, una potenzialità non finita (Aristotele, 2000). Ma allora, che cos’è l’attesa? Potremmo dire che è una condizione mentale, in cui siamo in “procinto di”, tendiamo ad un obiettivo a cui non siamo ancora giunti.

L’arte dell’attesa, opera della giornalista tedesca Andrea Köhler è quella “condizione perenne di aspettative e speranze che portano in se stesse un valore intrinseco, al di là della loro realizzazione. Non è poi così diverso da quello che scriveva Leopardi ne Il sabato del villaggio, quando descriveva il giorno prima della festa come momento di massima felicità, più importante della festa stessa”.

Piazza Sabato del villaggio, Recanati

È l’emblema della vita umana e della sua limitatezza come è ampiamente discusso in questo post. Penelope ha atteso il suo Odisseo per vent’anni, certa del suo amore verso di lui. Ella padroneggiava molto bene la capacità di “portare dentro l’altro” percependolo altro da sé. Condizione questa, ben diversa dal vivere nel “tutto e subito”ove non possiamo pensare di sopravvivere alla separazione nemmeno per un istante. Ma forse “aspettare qualcosa” non sarà sinonimo di “aspettarci qualcosa”? Non siamo noi che aspettiamo e che quindi interpretiamo, volenti o nolenti, la realtà in cui viviamo e su cui facciamo predizioni? Ecco. Questo caratterizza tutti gli esseri umani.

David Ligare, Penelope (1980)

Interpretare, predire, aspettare, aspettarsi. Ma cosa si aspetta l’uomo da un mondo tanto imprevedibile? Di essere capito, accontentato come un bambino a cui si è guastato un giocattolo e pretende che gli sia aggiustato? La realtà non capisce, non accontenta. La Natura non è lì pronta a servirci, anzi a volte può mostrarsi ostile. È Natura matrigna, come poetizzava Leopardi, perché resta indifferente di fronte alle nostre azioni e non “ragiona” e non “concettualizza” come fanno gli esseri umani. La Natura agisce. È azione insaziabile. È atto. Mai attesa. La Natura non aspetta e non si aspetta nulla, né da se stessa, né da noi esseri insignificanti, “senza significato” per Lei. Secondo il nostro punto di vista, però, siamo animali significanti e desideranti, intrisi di semantica e simboli.


Fin dai tempi più remoti aspettiamo quel “qualcosa” che verrà ma che alla fine non è mai giunto. Trascorriamo la nostra vita aspettando, e poi, quando finalmente siamo più vicini alla nostra meta cosa facciamo? Ci fermiamo. Beckett aveva visto oltre le maschere e i fantocci umani (si veda l’opera teatrale Aspettando Godot). Non viviamo per passare dal punto A al punto B, ma per stare in mezzo, tra A e B. Ci piacciono i drammi, tipici della natura umana, ci piace complicare le cose (come teorizza Piovani) piuttosto che semplificarle. Alla fine ci troviamo ingarbugliati in così tanti nodi che siamo stati intrappolati da noi stessi. Ci costruiamo noi le nostre gabbie, ci chiudiamo dentro e urliamo di voler essere liberati. Ma da che cosa? Da noi stessi.

Siamo punti in mezzo alle linee infinite dell’esistenza. Chi arriverà a destinazione, chi giungerà alla fine delle linee, alla fine della vita, risolverà ogni mistero umano. La vita, la morte. E l’attesa, solo allora, cesserà di essere.

Riferimenti bibliografici:

  • Aristotele. 2000. Metafisica. Milano: Bompiani
  • Beckett, Samuel. 1964. Aspettando Godot (1952). Torino: Einaudi
  • Borgna, Eugenio. 2005. L’attesa e la speranza. Milano: Feltrinelli
  • Köhler, Andrea. 2017. L’arte dell’attesa. Torino: ADD editore
  • Piovani, Pietro. 2010. Per una filosofia della morale. Milano: Bompiani
Author profile

Studentessa di Filosofia presso l’Università degli studi di Catania. La scrittura è per me uno stile di vita. Mi meraviglio difronte alle piccole cose e mi piace guardare la realtà con occhi sempre nuovi, mai stanchi, bensì attenti e critici verso il reale. Sono alla ricerca del mio “Grande Forse”, parafrasando lo scrittore francese Francois Rabelais.

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