Spazio, tempo, vita. Note sulla filosofia dello spazio. 1/2

La fine dello spazio?

Negli anni ’80 del Novecento si compiva la cosiddetta spatial turn, che trovava soprattutto nella filosofia francese i più significativi contributi. Lo spazio era stato lungamente dimenticato o, almeno, marginalizzato, a favore del tempo. Lefebvre spiegava bene nella sua opera fondamentale del 1974, La production de l’espace, che, a partire da Descartes, lo spazio veniva esternalizzato, come res extensa, e con ciò si avviava l’inarrestabile separazione tra l’uomo e lo spazio. Lo spazio era oggetto esterno, estraneo, oggettivato, non legato alla coscienza dell’individuo. Probabilmente la fine dell’interesse per lo spazio antropologico è iniziata con Galileo (e, aggiungerei, con Giordano Bruno), che ha avuto il merito di aprire lo spazio verso l’infinito: mentre lo spazio medievale era fortemente gerarchizzato e definito in contrapposizioni (luoghi sacri/profani, terreni/celesti, difesi/indifesi, ecc.), lo spazio moderno è aperto all’infinito. La vera colpa di Galileo, naturalmente, fu proprio questa: «Non d’aver scoperto, di aver riscoperto piuttosto che la Terra girava intorno al Sole, ma di aver costituito uno spazio infinito, e infinitamente aperto» (Foucault, 1984, p. 753). Ma il fascino che lo spazio recupera è relativo alla sua capacità di essere il sostrato di ogni trama di vita, di ogni accadimento, di essere la rete delle reti, già prima di quanto notasse Foucault, nella biopolitica di Diderot o in quella di Saint Simon (Musso, 2007) – base del successivo avvento della città digitale. Gli sviluppi delle scienze e delle tecniche e i contributi dell’Illuminismo, dell’Idealismo, del Positivismo hanno completato l’opera: la storia delle umane cose avviene solo nel tempo, perché la storia umana è storia lineare di progresso; pertanto, ha solo senso chiedersi quando qualcosa accade più che dove. Non solo: il processo di globalizzazione ha trasformato ulteriormente lo spazio, riducendo le distanze e amplificando la temporalizzazione dello spazio: non misuriamo più le distanze in chilometri ma in ora di aereo o di treno o di automobile.


Camminare nello spazio

Quando de Certeau dedicava quelle splendide pagine al camminare per la città creava un parallelo chiarissimo tra il pedone e il parlante: per de Certeau lo spazio definisce le possibilità: «Innanzitutto, è vero che un ordine spaziale organizza un insieme di possibilità (per esempio, mediante un posto in cui ci si può muovere) e proibizioni (per esempio, mediante un muro che impedisce di andare oltre)» (de Certeau, 1980, p. 149); ma, colui che cammina non soltanto implementa lo spazio fisico trasformandolo in spazio sociale, cioè, appunto, possibilità o limiti; egli può anche modificare questa connessione tra spazi fisici e spazi sociali, reinventandola, ripensandola, improvvisando e trovando nuovi modi di utilizzare il muro e gli altri spazi: «Camminare afferma, sospetta, tenta, trasgredisce, rispetta, ecc., le traiettorie che “pronuncia”» (de Certeau, 1980, p. 149); è una vera “retorica pedonale”. Questo implica un secondo, non secondario, aspetto: i percorsi di chi cammina possono essere rappresentati su una mappa graficamente – la geolocalizzazione di molti dispositivi agevola il compito; ma nessuna rappresentazione grafica potrà mai spiegare il perché di quella camminata, i motivi che stanno dietro quel percorso. Allo stesso modo in cui il passeggero seduto accanto a me sul treno o sull’aereo potrà dedurre dove mi stia recando (sull’aereo è più facile che non sul treno), ma non potrà saperne il perché. Lo spazio rivendica il suo spazio. Le nostre possibilità, i nostri limiti sono già legati al nostro primo spazio, il corpo: il poter saltare più in alto o in lungo, il poter correre velocemente, il poter afferrare un oggetto lontano definiscono il senso di ciò che posso fare e, di conseguenza, i modi in cui posso iniziare a pensare a modi specifici di superare quei limiti.

M. Escher, Relativity (1953)

Lo spazio è un’eterotopia

Una delle letture più illuminanti sul concetto di spazio si deve a Foucault. Come abbiamo visto, lo spazio è la categoria centrale dell’etica: designa il luogo dell’essere umano; qualunque possa essere questo luogo specifico, ciascuno di noi sarà sempre in un luogo ed esisterà sempre a partire da un luogo, anzi da questo luogo, l’aquí di Ortega y Gasset. Secondo Foucault, «l’epoca attuale sarebbe forse piuttosto l’epoca dello spazio. Siamo nell’epoca del simultaneo, siamo nell’epoca della giustapposizione, l’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Siamo in un’epoca in cui il mondo si sperimenta, credo, meno come una grande vita che si svilupperà attraverso il tempo che come una rete che collega dei punti e che tesse la sua matassa» (Foucault, 1984, p. 752).La caratteristica centrale dello spazio è infatti quella di creare o permettere la creazione di legami a partire da posizionamenti: il bar, la camera da letto, il vagone di un treno, un’aula universitaria. Ora, spiega Foucault, di tutti i posizionamenti ce ne sono alcuni, che hanno la peculiarità di essere in collegamento con tutti gli altri posizionamenti: questi sono due, e sono le utopie e le eterotopie. Mentre le utopie fanno riferimento a luoghi non reali, le eterotopie sono luoghi che connettono spazi altri e altrimenti diversificati e non connessi – e anche tempi altri, perciò legate alle eterocronie: Foucault fa riferimento ai luoghi sacri delle società primitive o ai cimiteri, ma anche a teatri e cinema, eterotopie in cui lo spazio dei vivi e lo spazio dei morti è connesso. Ecco, la funzione primaria delle eterotopie è di collegare spazi – cioè intesi anche come usi sociali – altrimenti non connessi. Se, da un lato, per Foucault, l’eterotopia per antonomasia è la nave, lo specchio rappresenta il perfetto intermediario di utopie e di eterotopie: «Lo specchio, dopo tutto, è un’utopia, poiché è un luogo senza luogo. Nello specchio, io mi devo là dove non sono, in uno spazio irreale […]. Ma è ugualmente un’eterotopia, nella misura in cui lo specchio esiste realmente» (Foucault, 1984, p. 756).

Riferimenti bibliografici

  • de Certeau, Michel. 1980. L’invention du quotidien, Gallimard, Paris, 1990.
  • Foucault, Michel. 1984. Des espaces autres, in Dits et écrits, Tome IV, Gallimard, Paris, 1994.
  • Lefebvre, Henri. 1974. La production de l’espace, Anthropos, Paris, 2000.
  • Musso P. (2003). Critique des réseaux, PUF, Paris (trad. it.: L’ideologia delle reti, Apogeo, Milano, 2007).
Author profile

Fondatore di Etica-mente. Ricercatore di Filosofia Morale presso l'Università di Catania. Direttore del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica e Chief Examiner per l'IBO. Si occupa di Etica Contemporanea, Etiche Applicate e Antropologia Filosofica.

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