The Smiths /1: tra l’impossibilità e la necessità di amare

The Smiths offrono molteplici spunti sulla complessità dell’amare e sulla problematicità dell’amore (si va un altro contributo, The Smiths /2) . Uno dei temi dell’etica è il legame. E l’emozione con cui nasce, cresce e muore. Quando l’emozione non è comunicata, non è corrisposta, il legame rimane monco, inespresso, come un ponte che si ferma a metà, guidandoci sull’orlo del precipizio. Solitudine, depressione e disperazione sono categorie centrali dell’esistenza, dunque dell’etica.

In molte canzoni Morrissey e gli Smiths raccontano della difficoltà di amare, di sentimenti non comunicati, di legami spezzati perché vissuti solo a metà, di abbandoni, di incomprensioni. E allora siamo solo persone a metà (come in Half A Person), o così desiderosi di legarci a qualcuno, senza saperlo né dire, né fare, da cogliere nella morte accanto a quella persona un privilegio, una luce definitiva (come in There’s A Light That Never Goes Out). 

L’amore non corrisposto, uno dei drammi più seri e sinceri dell’esistenza umana, diventa così una modalità dell’amare e una presa di coscienza (I Want The One I Can’t Have), o un lamento, una preghiera, breve ma intensa (Please, Please, Please Let Me Get What I Want, almeno “questa volta”). 

È il tentativo disperato di dare un senso alla vita attraverso l’altro, per provare a vivere nel mondo reale e ad uscire dal guscio (“But before I began // I was bored before I even began”, come in Shoplifters Of The World Unite). Una noia mortale. L’apatia prende il sopravvento. “And when I’m lying in my bed // I think about life and then I think about death // And neither one particularly appeals to me” (Nowhere Fast). Andiamo veloci da nessuna parte senza sentire alcuna vera emozione; quel correre per rimanere allo stesso posto, per sopravvivere, su cui lungamente ha detto Bauman.

In Well I Wonder Morrissey parla di un amore solo accennato, appena sfiorato. Il protagonista si chiede (quasi meravigliandosi della risposta negativa) se l’oggetto della sua ammirazione si accorge della sua esistenza, delle sue grida rauche, del suo sguardo nei rari incontri casuali, del suo affanno e del fatto che egli esiste solo nell’atto di amare. Se non riesco a dirti quello che provo, se non posso farlo perché le parole sono già bugie, posso solo sperare che tu ti ricorderai di me. “Annaspando, morendo, ma in qualche modo ancora vivo” rimango aggrappato a questa speranza.

L’Esserci è sempre e solo un Essere-con. “Please, keep me in mind” è l’unico, finale residuo di speranza per chi vuole tentare di esistere. Perché l’apparizione dell’altro è apparizione del desiderio, orizzonte di senso: è l’altro che mi guarda, è l’altro con cui incrociamo sguardi che ci isolano dal resto del mondo, trasformando l’io e il tu in un noi, come nella fenomenologia di Ortega e nell’esistenzialismo di Sartre.

“Mi vedi quando c’incrociamo? Io quasi muoio”.


Author profile

Fondatore di Etica-mente. Ricercatore di Filosofia Morale presso l'Università di Catania. Direttore del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica e Chief Examiner per l'IBO. Si occupa di Etica Contemporanea, Etiche Applicate e Antropologia Filosofica.

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