Il metaproblematico nell’era del post-umano

Da umano in automa. Questa è la rischiosa trasformazione alla quale va in contro l’uomo moderno, nel tentativo di adeguare il suo comportamento all’efficacia di procedure standard. L’uomo diventa cosa superata, il modello ora è la macchina con il suo funzionamento lineare, efficiente e senza intoppi. Tutto il contrario della natura umana, così complicante e problematica, così immersa nel metaproblematico. Siamo nell’era del transumanesimo e del post-umano (Ranisch, Songner, 2014). Ma come può l’uomo continuare a mantenere la sua umanità, se è proprio lui a remare contro la sua stessa natura? Siamo sicuri che, davvero, basta che funzioni?

Pietro Piovani ci ricorda che grazie agli intoppi si può avere un grande disvelamento. L’imprevisto, il problema è il luogo in cui ognuno di noi può sperimentare grandi scoperte o grandi tragedie. Sono proprio queste indispensabili esperienze dialettiche che portano l’uomo a crescere. Oltre ai problemi, tuttavia, non si può dimenticare un’altra dimensione più ampia che fa parte della vita di ognuno: il metaproblematico, il mistero, l’enigma.

G. De Chirico, Le muse inquietanti (1960-62)

Con la sua tendenza a oggettivare ogni cosa, l’uomo moderno ha circoscritto il metaproblematico, esorcizzandolo. Mentre il problema è qualcosa di esterno che può essere analizzato e risolto, il mistero è qualcosa che ci comprende e nel quale siamo immersi. In altre parole, non si possono distinguere i confini del mistero e quelli nostri, dal momento che siamo noi stessi mistero. Basti pensare al senso o all’origine della vita; come sintetizza Fromm, “l’uomo è un animale per il quale la sua stessa esistenza è un problema da risolvere”.

L’uomo moderno, tuttavia, ha acquisito la logica della linearità dall’uso dei dispositivi tecnologici. Questo ha portato a “una nuova definizione dell’uomo visto come “elaboratore di informazioni” e della natura, vista come “informazioni da elaborare” (Bolter, 1985, pp. 20-21). Il grande errore è quello di pensare che la mente dell’uomo funzioni esattamente come un computer. La differenza è sostanziale e si annida proprio nella loro diversa ontologia.

I programmi per computer sono realizzati utilizzando un linguaggio formale, ovvero un linguaggio che non tiene conto del significato dei suoi simboli, ma si limita a seguire delle regole sintattiche. Il linguaggio che utilizza l’uomo, invece, è ben lontano dall’essere un linguaggio formale. Gli uomini hanno bisogno di dare significato alle cose, gli uomini sono dispositivi semantici (Biuso, 2008). L’uomo pensa, parla e ricerca per dare senso alla realtà che lo circonda e dunque “il bisogno di ragione non è ispirato dalla ricerca di veridicità ma dalla ricerca di significato” (Arendt, 1987, p. 97).

Y. Tanguy, La Journée Bleue (1937)

L’essere umano tende a complicare inutilmente tutto, ci ricorda Piovani. Il perché risiede nel fatto che è proprio in questa sua natura complicante che l’uomo riesce a crearsi uno spazio di libertà. Solo intervenendo sul circostante, modificandolo e complicandolo, ognuno di noi riesce a sentirsi davvero libero. La libertà, infatti, non è un regalo gratuito, ma uno sforzo incessante e difficile da realizzare, soprattutto in una società come quella attuale. Ogni individuo ha la sensazione di essere libero, ma in realtà segue spasmodicamente i gesti che il campo sociale gli propone: fare soldi, consumare e “godere” […]. Ritenuto libero di dare alla sua vita il senso che vuole, egli dà, nella maggior parte dei casi, solo il senso in corso, ovvero il non senso dell’aumento indefinito degli stimoli sensoriali” (Castoriadis, 1996, p. 72).

R. Magritte, Golconda (1953)

In questo flusso lineare, incessante e rumoroso, la proposta esistenziale dell’etica è quella di tornare a valorizzare la natura dell’uomo, nella bellezza delle sue contraddizioni, nel suo mistero, nei suoi problemi e nei suoi imprevisti. L’uomo non è un freddo device che funziona secondo procedure formali, funzionali e decontestualizzate. “L’essere umano i suoi programmi li può cambiare anche senza motivo, senza preavviso. Può addirittura avere come programma quello di non fare alcun programma” (Fabris, 2018, p. 60). La prospettiva dell’etica è quella del diritto all’inutilità e del ritorno al silenzio, quel silenzio così carico di contenuto, di verità, di autenticità — si veda su questo punto E il tempo tace.

Nello stesso momento in cui l’uomo si apre al silenzio ed abbraccia tutto il mistero di cui è carico, dischiude se stesso all’evento, all’incontro. L’evento è qualcosa che noi non possiamo prevedere, che sfugge al nostro desiderio di controllo e di programmazione. Nell’evento l’uomo fa esperienza dei suoi limiti, perdendo la posizione privilegiata di soggetto. L’evento è il luogo dell’incontro con l’altro, con la diversità dell’altro ed è nell’altro che l’uomo incontra se stesso.

“Un incontro è un evento che altera, modifica, rendere discontinuo, lo scorrere ordinario e lineare del tempo. L’incontro è uno spartiacque tra un prima e un poi. […] Non era previsto. L’incontro è nell’ordine dell’evento. L’evento è nell’ordine dell’imprevisto; dell’impossibile che diventa miracolosamente possibile”: con queste parole, Massimo Recalcati, descrive l’incontro amoroso all’interno del suo programma Lessico Amoroso .

L’amore, dunque, ha a che fare con il mistero, con l’imprevisto, con l’ineffabile. In altre parole, con il metaproblematico, quella dimensione che si può esprimere bene solo attraverso il silenzio, con il quale l’uomo riconosce i suoi limiti e diventa consapevole del fatto che c’è molto al di là di ciò che può esprimere attraverso il linguaggio. Riportando le parole di Wittgenstein: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”; “V’è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico”.

R. Magritte, Gli amanti (1928)

Per questo, non basta che funzioni. Sarebbe davvero un peccato se l’uomo, cadendo nella logica della linearità e del funzionamento, perdesse la sua essenza caratteristica. Questo non significa condurre una crociata contro il progresso tecnologico o le dinamiche che lo supportano. Significa semplicemente non generalizzarne le logiche a tutti gli ambiti del vivere, avendo cura di coltivare la nostra umanità e la sua natura metaproblematica. Farlo significa prestare ascolto al silenzio, aprirsi all’incontro, all’amore, alla comunicazione, alla bellezza.

“Ma tu sai cosa sono gli uomini? Miserabili cose che dovranno morire, più miserabili dei vermi o delle foglie”; “Sono poveri vermi ma tutto fra loro è imprevisto e scoperta. Si conosce la bestia, si conosce l’iddio, ma nessuno, nemmeno noialtri, sappiamo il fondo di quei cuori. Soltanto vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del mondo” (Pavese, 1947, pp. 146-147)

Riferimenti bibliografici

  • Arendt, Hannah. 1987. La vita della mente. Bologna: il Mulino
  • Biuso, Alberto. 2008. Dispositivi semantici. Catania: Villaggio Maori
  • Bolter, Jay, David. 1985. L’uomo di Turing. La cultura occidentale nell’era del computer. Parma: Pratiche
  • Castoriadis, Cornelius. 1996. L’istituzione immaginaria della società. Torino: Bollati Boringhieri
  • Fabris, Adriano. 2018. Etica per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Roma: Carocci
  • Fromm, Erich. 1971. Dalla parte dell’uomo. Indagine sulla psicologia della morale. Roma: Astrolabio Ubaldini
  • Pavese, Cesare. 1947. Dialoghi con Leucò. Torino: Einaudi
  • Piovani, Pietro. 2010. Per una filosofia della morale. Milano: Bompiani
  • Ranisch, Robert & Sorgner, Stefan. 2014. Post- and Transhumanism: An Introduction. Frankfurt: Lang
  • Wittgenstein, Ludwig. 1974. Tractatus logico-philosophicus. Torino: Einaudi
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